L’incontro precedente, i filmati, la rabbia dopo la scoperta: perché Giorgia Meloni aveva capito che nella telefonata fake qualcosa non andava

La premier aveva già parlato con il presidente della Commissione africana. E ha chiesto all’ufficio diplomatico una verifica. Senza risultati

La premier Giorgia Meloni si era davvero resa conto che nella telefonata del sedicente presidente della Commissione Africana c’era qualcosa che non andava. La premier infatti aveva già conosciuto il vero Moussa Faki. Lo aveva già incontrato il 14 aprile scorso ad Addis Abeba durante una visita ufficiale. Per questo quando comincia la telefonata fake di Lexus & Vovan pensa di parlare con qualcun altro. E lì nasce un sospetto. Meloni cerca un intervento pubblico di Faki per ascoltarne di nuovo la voce e chiede all’Ufficio Diplomatico una nuova verifica. Ma anche in questo caso, raccontano oggi al Corriere della Sera fonti del governo, senza alcun risultato. Fino a quando il caso non scoppia e il consigliere Francesco Maria Talò è costretto a scusarsi pubblicamente.


Il retroscena

Il quotidiano fornisce una ricostruzione diversa rispetto a quelle dei giorni scorsi. In cui si cita il sottosegretario Alfredo Mantovano, che ieri ha sostenuto proprio la consapevolezza della premier riguardo il fatto che nella telefonata c’era qualcosa che non tornava. Tutto parte da una lettera datata febbraio: il sottosegretario con delega ai servizi segreti avverte rispetto al rischio di ricevere contatti da cittadini russi che possono nascondersi dietro false identità. Per mettere in pericolo la sicurezza nazionale. Ovvero esattamente quello che è accaduto il 18 settembre. Il primo contatto è arrivato un paio di giorni prima. Attraverso una mail, secondo fonti italiane. Con una telefonata, secondo quanto ha spiegato Lexus ieri a Otto e Mezzo. Nelle 48 ore successive c’è tutto il tempo per svolgere i controlli e verificare l’identità della persona che richiedeva un colloquio con la premier. Si poteva effettuare anche attraverso il coinvolgimento dell’ambasciatore Alberto Bertoni, che rappresenta l’Italia presso l’Unione Africana.


La reazione della premier

Ma a quanto pare nessuno lo chiama. Poi si arriva al giorno della telefonata. Meloni, scrive il quotidiano, si trova a New York per l’assemblea dell’Onu. In quel momento l’ufficio del consigliere diplomatico di Palazzo Chigi le passa la telefonata e inizia la conversazione durata 13 minuti. Nei giorni successivi chiede verifiche ma nessuno ammette l’errore. Poi l’audio finisce sul sito canadese e la reazione della premier, aggiunge il quotidiano, non è delle più miti. Arrivano le scuse di Talò. Intanto il deputato di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli dice al quotidiano che Meloni non ha fatto nessuna figuraccia: «Per gli impostori poteva essere un bel colpo. Ma è stato sparato a salve». Perché «lei ha detto le stesse cose che dice in pubblico. Comportandosi da leader vero in una telefonata finta».

Donzelli: «Nessuna figuraccia»

Poi va all’attacco: «Vorrei sentire le telefonate dell’allora premier Conte con la Cina sulla via della Seta che hanno indebolito commercialmente l’Italia». E quando Virginia Piccolillo gli chiede se si riferisca alla frase sulla «stanchezza» dei leader europei riguardo l’Ucraina replica: «Anche in parlamento ha detto che serve difendere la forza del diritto e non cedere al diritto del più forte». Poi ammette che «la falla c’è stata. Anche se quegli impostori hanno strumenti particolari: lo avevano già fatto con Merkel, Kamala Harris, Erdogan e altri». E anche se non sono spie «sicuramente non dispiacciono al Cremlino che è in grande difficoltà sul campo e tenta il recupero con la guerra ibrida. Ma questo colpo è andato a vuoto. E non averlo trasmesso subito dimostra che anche i russi erano delusi».

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