L’accordo tra Meloni e Rama sui migranti: «Se non riuscirà a fare i rimpatri l’Italia dovrà riprenderseli»

Come funziona il protocollo firmato con l’Albania. I nodi tecnici, le falle, i dubbi giuridici. E il modello Ruanda mai partito

«Se l’Italia non riuscirà a fare i rimpatri, dovrà riprenderseli». Dopo l’annuncio dell’accordo tra Italia e Albania per i due centri di rimpatrio il premier Edi Rama fa chiarezza su come funziona l’accordo firmato con Giorgia Meloni. Mentre il protocollo mostra alcuni nodi ancora da sciogliere. Il principio che regolerà le strutture di Shëngjin e Gjadër dovrebbe infatti essere analogo a quello delle sedi diplomatiche e le unità navali in acque straniere. Ma si dovranno definire i limiti di giurisdizione tra giudici albanesi e italiani e le regole d’ingaggio delle forze dell’ordine (albanesi) nella vigilanza esterna delle strutture. Ma soprattutto la competenza e la procedura nei trasferimenti e nei rimpatri del richiedente asilo in caso di no alla richiesta ed eventuali ricorsi (garantiti da Roma a chi si troverà nei Centri di Permanenza e RImpatrio).


Come funziona

Nell’attesa però Rama in un’intervista a il Fatto Quotidiano spiega: «Tutto sarà in carico a voi: le infrastrutture, l’accoglienza, il trasferimento nel centro. Mettiamo a disposizione solo la terra», precisa Rama nel colloquio con Giacomo Salvini. Aggiunge di non aver chiesto molte precisazioni sul protocollo «perché non volevo che l’Italia pensasse che facessimo ostruzionismo». Fa sapere che Tirana vigilerà sulle persone, che «non devono essere trattate come detriti». E aggiunge: «Questo è un accordo teorico, poi va messo in pratica. E non sarà facile: tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Gli accordi con i Paesi africani sono la cosa più difficile». Rivelando che un team congiunto di giuristi e dei ministeri dell’Interno e della Difesa ha iniziato a lavorare sul testo siglato ieri. Nel quale l’Albania acquisirà «un know-how importante anche per colpire il crimine organizzato. A tutto il resto penserà l’Italia».


I nodi tecnici sui migranti

Il Viminale dovrà ora sciogliere i nodi tecnici dell’accordo. Uno dei punti, segnalato dal Corriere della Sera, riguarda la possibilità o meno dei naufraghi di uscire dal centro di accoglienza iniziale. In Italia è consentito, anche se a quel punto il migrante rischia il respingimento della richiesta d’asilo e l’accusa di clandestinità. Se sarà impossibile farlo in Albania – e dalle parole di Rama sembra di sì – allora i Cpr si trasformeranno di fatto in luoghi di detenzione in attesa della definizione della pratica. Nell’accordo Tirana ha fatto anche aggiungere che il numero massimo di migranti che le strutture potranno accogliere ammonta a 3 mila persone, mentre le pratiche per la richiesta d’asilo si dovranno definire entro 28 giorni. Questo significa che il numero totale di 36 mila persone l’anno indicato dalla premier potrebbe rivelarsi molto ottimistico. Mentre alla scadenza dei giorni o il migrante viene portato in Italia oppure dovrà restare lì, “occupando” il posto destinato a un altro.

Le falle dell’accordo

Repubblica segnala altre falle dell’accordo. In Albania, vista l’esclusione di donne, bambini e soggetti vulnerabili, potranno finire solo uomini maggiorenni. La selezione si effettuerà a bordo. Il trattenimento dovrà essere disposto da un questore italiano e motivato. E poi confermato da un giudice entro 48 ore. Quindi si rischiano altri casi come quello di Catania. Sulla richiesta d’asilo poi la decisione spetta a una commissione italiana. Che deve anche ascoltare il richiedente. Infine, c’è il nodo della detenzione amministrativa. Il governo ha assicurato che il diritto al ricorso non verrà toccato. Infine, se la persona dovesse essere rilasciata si troverebbe in territorio extraeuropeo. Cosa succede a quel punto? Dovrebbe tornare in qualche modo in Italia, secondo quello che ha detto Rama.

I dubbi giuridici tra Italia e Albania

Anche Graziano Del Rio (Pd), componente della commissione Schengen, solleva dei dubbi giuridici. «Si rischia di configurare il reato di respingimento e l’Italia è stata già condannata nel 2012 per questo», dice nell’intervista rilasciata a La Stampa. E spiega: «Quando si sale su una nave italiana, si sale sul territorio italiano. Portare i migranti in un altro stato potrebbe tradursi in respingimento. La gestione dei ricorsi e del personale, porteranno costi ulteriori. Stiamo aumentando i costi invece che studiare il modo di rendere queste procedure meno onerose e più accelerate. E sarebbe importante non arrendersi». Infine: «Meloni sa che nel suo elettorato le politiche di immigrazione sono considerate fallimentari e prova a far vedere che fa qualcosa, ma questa scorciatoia porterà più costi e a scontrarsi con diversi parametri di legittimità».

Il modello Ruanda

Infine il modello Ruanda. L’idea di trasferire i migranti illegali che raggiungono il Regno Unito risale all’aprile 2022. A bloccare tutto sono stati i giudici britannici. Poi è arrivata anche la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani. Infine, quella della Corte d’Appello di Londra. Ora il governo di Rishi Sunak ha presentato ricorso alla Corte Suprema. Il verdetto dovrebbe arrivare a metà dicembre. Nel frattempo nessun migrante è stato inviato nel paese.

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