Gaza, i raid di Israele ora mirano a Sud. Netanyahu: «Guerra fino a distruggere Hamas». Ostaggi rilasciati in piazza a Tel Aviv: «Liberateli tutti»

Il premier torna a bocciare l’idea che l’Anp controlli in futuro la Striscia: «Nata dall’errore del Processo di Oslo, sostiene il terrorismo»

La guerra tra Israele e Hamas sembra definitivamente ripresa, a due giorni dalla rottura di una tregua fattasi sempre più fragile. Oggi il capo del Mossad, David Barnea, ha ricevuto l’ordine dal governo israeliano di rientrare da Doha con la delegazione che negoziava ulteriori pause nei combattimenti. Sono ripresi dunque i raid delle forze di Tel Aviv sulla Striscia di Gaza. L’area di Khan Yunis, nel sud della Striscia, è stata in particolare bersaglio di intensi bombardamenti dal mare e dal cielo. L’aviazione – secondo fonti locali – avrebbe colpito diversi edifici della città: l’artiglieria ha sparato a ridosso del confine con Israele (nell’area di Karara), mentre la Marina ha attaccato obiettivi sul litorale della vicina Deir el-Ballah. Il portavoce dell’Idf ha dato ordine di evacuazione per gli abitanti delle zone interessate a Gaza: «Spingersi a sud verso le dune di Muwassi e la città di frontiera di Rafah».


Il bilancio della guerra

Il ministero della Sanità guidato da Hamas ha reso noto che quasi 200 persone sono state uccise da quando sono riprese le ostilità, portando il bilancio delle vittime palestinesi a 15.207 (il 70% delle quali donne e bambini, scrive Al Jazeera). «Quello che stiamo facendo ora è colpire obiettivi militari di Hamas in tutta la Striscia di Gaza», ha detto ai giornalisti il portavoce dell’Idf, Jonathan Conricus, precisando che . L’esercito israeliano ha inoltre precisato oggi – sabato 2 dicembre – di aver «attaccato più di 400 obiettivi terroristici» nella Striscia dalla fine della pausa nei combattimenti con Hamas.


Quali e quanti ostaggi restano a Gaza?

A causare la rottura della tregua sono state le incomprensioni, o i trabocchetti, sulla liberazione degli ostaggi prigionieri a Gaza. Secondo Israele, «Hamas non ha realizzato la propria parte dell’accordo, che includeva la liberazione di donne e bambini secondo una lista inoltrata e approvata da quella organizzazione». In particolare, ha detto oggi il ministro della Difesa Yoav Gallant, Hamas si sarebbe rifiutata di rilasciare 17 ostaggi, 15 donne e 2 bambini. Una versione che non combacia con quello degli islamisti stessi, secondo cui nelle mani dell’organizzazione resterebbe dopo una settimana di liberazioni in serie solo uomini (civili) e soldati (di ambo i generi). Di certo c’è che la questione del destino dei rimanenti ostaggi a Gaza divide Israele. Questa sera migliaia di persone sono scese in piazza in tutto il Paese per chiedere il rilascio di tutti quelli ancora prigionieri di Hamas, e al governo di fare «tutto il possibile» per raggiungere quest’obiettivo. A Tel Aviv, in particolare, nella piazza ormai ribattezzata “degli ostaggi”, sono saliti sul palco anche alcuni degli stessi rilasciati negli ultimi giorni. Tra questi Hadas Kalderon, liberata una settimana fa esatta, che quando è tornata a casa ha riabbracciato i figli increduli: «Mamma, sei ancora viva?», le hanno detto prima di saltare al collo. La donna ha detto di avere ora «sentimenti contrapposti: tristezza e felicità. A me è capitato un miracolo, spero che un miracolo capiti ora a tutti voi». Le famiglie degli ostaggi hanno chiesto di nuovo di incontrare con la massima urgenza Benjamin Netanyahu.

Netanyahu e il fallimento del processo di Oslo

Il premier nelle stesse ore è tornato a parlare alla nazione per dar conto della ripresa della guerra: «Continuiamo a combattere con tutta la forza per distruggere Hamas, per impedire che Gaza torni a minacciarci e per far sì che tutti gli ostaggi ritornino a casa», ha detto Netanyahu, assicurando che la guerra «proseguirà fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi». Quanto al futuro di Gaza e delle relazioni israelo-palestinesi, il premier è tornato a usare toni polemici verso gli Usa. Gli accordi di Oslo «furono un
errore terribile», ha scandito il premier, e l’Autorità nazionale palestinese che ne scaturì «non potrà dunque assumere il controllo su Gaza, una volta sconfitto Hamas. Malgrado ciò ci sia consigliato dai nostri migliori amici, io mi oppongo». Anche perché, ha ricordato, «Abu Mazen non ha condannato la strage del 7 ottobre» e l’Anp «ha fallito del tutto: non solo non combatte il terrorismo, ma anzi lo finanzia». Pertanto l’esercito israeliano manterrà, come già detto in passato, «un controllo di sicurezza su Gaza» dopo la fine della guerra.

Pressioni (e polemiche) dei partner internazionali

Nonostante la ripresa dei combattimenti, ancora nelle scorse ore gli Usa hanno fatto sapere che stanno lavorando con i partner regionali per ottenere un altro cessate il fuoco: «Continueremo a lavorare con Israele, Egitto e Qatar per ripristinare una tregua», ha detto ai giornalisti il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin. Perplesso sulla strategia israeliana dopo la ripresa delle ostilità si è detto invece da Dubai – ospite della Cop 28 – il presidente francese Emmanuel Macron. «La distruzione totale di Hamas? E che cos’è? Qualcuno pensa che sia possibile? Se è così, la guerra durerà dieci anni e non credo che nessuno sappia definire seriamente questo obiettivo. Quindi questo obiettivo deve essere chiarito», ha affondato il colpo Macron, aggiungendo che «la buona lotta contro il terrorismo non è un bombardamento sistematico e permanente».

Msf accusa l’esercito israeliano di aver attaccato un convoglio della Ong

«Tutti gli elementi indicano l’esercito israeliano come responsabile dell’attacco a un convoglio di Medici senza Frontiere (Msf) a Gaza» e in cui «morirono due persone». A renderlo noto è la stessa Ong in un comunicato. «Il 18 novembre 2023 un convoglio di evacuazione di Medici Senza Frontiere (Msf) è stato attaccato a Gaza City. Due persone sono state uccise in quello che è apparso subito come un attacco deliberato contro mezzi di Msf con il simbolo dell’organizzazione ben riconoscibile. Entrambe le vittime erano familiari di membri dello staff di Msf, uno di loro era anche un volontario che supportava l’azione medica all’ospedale di Al Shifa. A distanza di due settimane, dopo aver raccolto le testimonianze del personale presente quel giorno nel convoglio, Msf – continua la nota – ritiene che tutti gli elementi indichino l’esercito israeliano come responsabile di questo attacco. Msf ha chiesto una spiegazione formale alle autorità israeliane, oltre a un’indagine indipendente per stabilire i fatti e le responsabilità».

Immagine di copertina: Migliaia di persone in piazza a Tel Aviv, sabato sera 2 dicembre, per chiedere la liberazione di tutti gli ostaggi a Gaza (X / Yonatan Touval)

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