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Delitto di via Poma, l’informativa dei carabinieri: la pista del figlio di Vanacore nell’omicidio di Simonetta Cesaroni. Il legale: «Sconcertati, valutiamo come tutelarci»

05 Gennaio 2024 - 22:01 Redazione
Per il caso la pm Gianfederica Dito aveva chiesto l'archiviazione, non sono essendo emersi nuovi elementi utili

Chi ha ucciso Simonetta Cesaroni? Una domanda rimasta senza risposta dal 7 agosto 1990, giorno in cui la ventenne impiegata nella sezione romana dell’Associazione degli Ostelli della gioventù venne trovata priva di vita in uno stabile di via Poma, a Roma. Inizialmente ad essere sospettato era l’ex fidanzato Raniero Busco. È stato condannato a 24 anni in primo grado e poi assolto in appello e in Cassazione. Adesso, è saltata fuori una nuova pista, un altro nome verso cui le indagini si erano indirizzate per stabilire chi sferrò quelle 29 coltellate: ne parla Repubblica, sostenendo che il cerchio si fosse iniziato a stringere attorno a Mario Vanacore, il figlio del portiere dello stabile, Pietrino. Questo almeno è lo scenario messo nero su bianco dai carabinieri di piazzale Clodio che negli ultimi due anni hanno indagato senza sosta.

La ricostruzione

Per il caso la pm Gianfederica Dito aveva chiesto l’archiviazione, ritenendo che la ricostruzione degli investigatori fosse «fondata su una serie di ipotesi e suggestioni che, in assenza di elementi concreti di natura quantomeno indiziaria, non consentono di superare le forti perplessità sulla reale fondatezza del quadro ipotetico tracciato». Dunque, in altre parole, a detta della procura non c’era una prova valida per attribuire la responsabilità penale in capo a Vanacore. «Ho sentito Mario Vanacore ed è molto sconcertato. Sconcertato anche di essere dopo 33 anni ancora al centro dell’attenzione. In primavera avevamo fatto una denuncia-querela a Milano per chiedere di mettere fine alle illazioni sul suo conto. Attendiamo gli sviluppi delle indagini e poi valuteremo le iniziative a sua tutela», ha dichiarato all’Adnkronos l’avvocato Claudio Strata, legale dell’uomo. Il mese scorso la procura di Roma ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta, avviata dopo l’esposto presentato dai familiari di Simonetta, in cui si procedeva per omicidio volontario e rimasta contro ignoti. Al termine delle indagini svolte dai magistrati capitolini è stata sollecitata al gip l’archiviazione non sono essendo emersi nuovi elementi utili.

Cosa ricostruisce Repubblica

La ricostruzione dei carabinieri, riportata da Repubblica, è la seguente: il giorno del delitto, Simonetta aveva raggiunto via Poma nel primo pomeriggio: da circa due mesi lavorava come segretaria contabile per l’ufficio degli Ostelli della gioventù. Al momento del suo arrivo, la portineria era vuota: Pietrino era uscito per la terapia utile a curare il suo mal di schiena. Qualche ora più tardi, però, sarebbe arrivato Mario: avrebbe avuto l’abitudine di recarsi presso gli uffici vuoti con l’obiettivo di effettuare gratuitamente delle telefonate interurbane a Torino, Cantù, utilizzando le chiavi del padre o della matrigna. All’epoca infatti Mario viveva nel capoluogo piemontese: era venuto a Roma quel giorno insieme alla moglie e alla figlia di due anni per fare visita al padre.

Il tentato abuso e il delitto

A quel punto, la tragedia. Perché, secondo i carabinieri, si sarebbe trovato «davanti inaspettatamente Simonetta Cesaroni e a quel punto, intenzionato ad abusare della ragazza sola, verosimilmente sotto minaccia, la costringe ad andare nella stanza del direttore» dell’ufficio. Ovvero il luogo dove venne ritrovato il cadavere. Simonetta però, parzialmente nuda, avrebbe provato a ribellarsi, afferrando «quella che sarà l’arma del delitto – impugnandola perché era alla sua portata o sottraendola momentaneamente all’uomo». Con quell’arma l’avrebbe colpito, scatenando la sua furiosa risposta: «l’uomo reagisce, sferrandole un violento colpo al viso che la stordisce e la fa cadere a terra». Poi, i fendenti letali, sul corpo della ragazza supina, e la fuga. Ma nella fretta si sarebbe dimenticato qualcosa: l’agenda Lavazza che aveva portato al seguito per telefonare e che verrà poi rinvenuta e prelevata dagli agenti della Polizia di Stato insieme agli oggetti personali di Simonetta Cesaroni. Da quel momento però, secondo i carabinieri è iniziata una «fase volta a cancellare le tracce e ad ostacolare le indagini che ne sarebbero conseguite, alla quale partecipa certamente» Pietrino Vanacore. Gli indumenti e gli oggetti della vittima, sempre secondo questa ricostruzione, vengono portati via: non saranno mai più ritrovate.

Il depistaggio

Quando però, tre giorni dopo il delitto, verrà arrestato Pietrino, sia lui che sua moglie Giuseppa De Luca «forniscono agli inquirenti la menzogna dell’uomo misterioso, asseritamente visto uscire proprio all’ora del delitto e con un involucro in mano, che avrebbe evidentemente dovuto contenere gli oggetti sottratti alla vittima». Una menzogna, secondo gli investigatori, funzionale a allontanare ogni sospetto. De Luca sosterrà anche (secondo questo scenario, mentendo) di aver già visto in via Poma Salvatore Volponi, datore di lavoro di Simonetta.

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