Le lettere dal carcere di Ilaria Salis sui primi giorni di prigionia: «Mi sento tumulata viva»

I documenti consegnati all’ambasciata e pubblicati in esclusiva da la Repubblica. Il padre Roberto contro il ministro degli Esteri ungherese: «Mia figlia è una martire»

Dopo aver affidato a un memoriale il racconto delle condizioni agghiaccianti in cui ha trascorso gran parte della sua prigionia a Budapest, Ilaria Salis ha ricostruito in alcune pagine di diario quello che ha provato e vissuto nei suoi primi giorni di carcere, ormai un anno fa. L’attivista, 39 anni, è stata arrestata in Ungheria  l’11 febbraio 2023 con l’accusa di aver aggredito due neonazisti nel “Giorno dell’onore” e a fine gennaio le foto che la ritraggono in manette a mani e piedi durante il processo hanno riacceso l’attenzione dei media e delle istituzioni sulle sue condizioni. Le lettere sui primi giorni di prigionia sono state consegnate dall’Ambasciata ai familiari e pubblicate i esclusiva da la Repubblica in collaborazione con Tg3.


«Dalla bocca di lupo scorgo alcune guglie e immagino che si tratti di una cattedrale. In seguito scoprirò che in realtà è il Parlamento». Inizia così il ricordo di quei primi giorni in carcere. Salis può vedere l’alba dalla finestrella, la mattina fa esercizio fisico per distrarsi come unico passatempo, non avendo nessun libro con sé e quando può usufruisce del turno all’aria aperta. Quel momento «è un’esperienza forte, lì hai davvero la sensazione di essere in prigione». Dalla quale torna sempre con un umore diverso, rilassata o agitata a seconda dei giorni. Ma è anche l’unico momento in cui vede le altre detenute, che «mi scrutano a distanza come se fossi una creatura strana». Per svagarsi, impegna la mente usando l’immaginazione. Ma i giorni passano e la sua condizione non migliore, anzi: «Nel tempo la realtà assumerà una forma ben più drammatica e crudele rispetto ai bozzetti tracciati dall’immaginazione. Un anno dopo sarà ancora sepolta nel profondo di questo Tartaro e quelle lettere, che per lunghi mesi non avrò la possibilità di spedire, diventeranno il canovaccio per questo diario». Il 9 marzo, 26 giorni dopo l’arresto, sentirà per la prima volta al telefono i suoi familiari. Una gioia incredibile, un momento intimo: «Parlare nella mia lingua, ascoltare voci affettuose e percepire la vicinanza delle persone scatena in me emozioni devastanti. Qualcosa esplode il mio petto e per la prima volta le mie guance sono rigate da calde lacrime». Non c’è tempo per gioire di questa nuova possibilità, il cellulare le viene tolto ventiquattr’ore dopo, così come le verrà proibita qualsiasi contatto all’esterno e le viene comunicato che la detenzione verrà prolungata. «Sono qui in prigione in un paese che non conosco, senza contatti e non capisco quasi nulla di ciò che accade intorno a me. Mi sento tumulata viva, segregata in un mondo alieno, in un baratro oscuro “dove ‘l sol tace», conclude il suo ricordo Salis.


Il padre Roberto contro il ministro degli Esteri ungherese

È passato più di un anno dalla sua detenzione in attesa di processo e il padre ha annunciato di aver trovato una soluzione a Budapest qualora i giudici dovessero decidere per i domiciliari in Ungheria. Ma la vicenda non è a un passo dalla svolta. Oggi si è rischiato l’incidente diplomatico quando, dopo l’incontro tra il ministro Tajani e il suo monologo ungherese, il portavoce ha fatto trapelare lo stupore di Budapest per l’azione del nostro Paese: «È sorprendente che l’Italia cerchi di interferire in un caso giudiziario ungherese. Questa signora, presentata come una martire in Italia, è venuta in Ungheria con un piano chiaro per attaccare persone innocenti per le strade come parte di un’organizzazione di sinistra radicale. Spero sinceramente che questa signora riceva la meritata punizione in Ungheria».

Non si è fatta attendere la reazione di Tajani, che ha negato qualsiasi interferenza, ed è poi intervenuto anche il padre dell’attivista, Roberto Salis, a poche ore dalla fiaccolata a Milano per sua figlia. «Dobbiamo chiedere al ministro ungherese cosa intende per ‘martire’, se intende una persona torturata per 35 giorni certo, Ilaria è una martire», ha scandito, «Sembra quasi che manifestare solidarietà a un’antifascista sia considerato in alcuni Paesi un’interferenza. Ce li siamo presi noi in Europa, ce li abbiamo e dobbiamo conviverci. Spero ci sia una reazione da parte del nostro governo, perché quello che ho sentito oggi mi sembra piuttosto inaccettabile. Mi sono reso conto sempre più che bisogna fare conto sulle proprie forze, come per i domiciliari per Ilaria, per questa ragione servono manifestazioni come queste. Ilaria vi ringrazia tutti».

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