Franco Grillini racconta il suo tumore: «Adesso sono fragile e invalido, ma vivo»

L’ex fondatore di Arcigay e Lila: ho un mieloma multiplo, salvo grazie alle terapie sperimentali

Franco Grillini, fondatore di Arcigay e Lila, ha un tumore. Nel 2014 ha ricevuto una diagnosi di mieloma multiplo, una malattia del sangue che non lascia scampo. Oggi sta meglio. «Certo, sono un fragile e un invalido. Ma vivo», dice oggi al Corriere della Sera. Il fautore della rivoluzione gentile, come si intitola il documentario Let’s Kiss a lui dedicato, spiega che sfila ancora ai pride, anche se a volte deve farlo in carrozzina. «È un tumore che colpisce le cellule architrave del sistema immunitario, quindi crea una grave immunodepressione. I primi tre anni sono stati tremendi. Ho subìto una chemio pesantissima e un autotrapianto di cellule staminali. Ne avrei dovuti fare tre, di autotrapianti, ma ne ho retto soltanto uno: è stato così pesante che alla fine non mangiavo più. Sono arrivato a pesare cinquanta chili, prima di ammalarmi ne pesavo oltre cento. Ero il fantasma di me stesso, mi davano tutti per spacciato», rivela.


Mieloma multiplo e terapie sperimentali

Grillini rivela di essersi salvato grazie a una terapia sperimentale. «L’accesso ai medicinali sperimentali, spiega, avviene perché sei inserito in un protocollo per motivi compassionevoli. Tradotto: per te non c’è più nulla da fare, proviamo anche questa. E insomma, succede che, dopo un mese appena di terapia, la malattia si blocca. Al Sant’Orsola mi dissero: mai vista una roba così». Adesso continua a prendere il farmaco: «Senza non potrei farcela. Ho ripreso peso e, pian piano, anche a camminare». E si sente «due volte sopravvissuto». Perché nel 2020 è stato contagiato da Covid-19. «Data del ricovero: 23 marzo 2020, pieno lockdown. Anche allora erano tutti convinti che ci avrei lasciato le penne. D’altra parte ero un paziente fragilissimo e avanti con gli anni, un candidato perfetto a schiattare di Covid».


Gli insegnamenti della malattia

E invece, spiega Grillini, lo hanno dimesso dopo tre giorni. Il morbo gli ha insegnato che «delle malattie, come di tutte le sfortune della vita, non bisogna vergognarsi. Non bisogna vergognarsi di uscire in carrozzina, di indossare una parrucca, di avere una brutta cera. I malati di cancro troppo spesso si chiudono in casa, tagliano i ponti con tutti, non chiedono aiuto. Ma la malattia non è una colpa». Oggi, dice, fa mille cose: «Soprattutto mi dedico a valorizzare la nostra memoria storica. Quella della comunità gay bolognese. Sto cercando una sponda istituzionale, a Roma, per digitalizzare l’immenso materiale cartaceo, ma anche vhs e altro, degli anni 80 e 70 che rischia di andare perduto. E sto lavorando al progetto di un gay museum a Bologna. Dovrebbe sorgere nel nuovo polo museale della città».

L’ultima relazione

Nel 2014 è finita anche il suo ultimo grande amore: «Aveva 33 anni meno di me», racconta. È finita «perché la sua famiglia era contraria. Arrivarono a minacciarmi di morte. A lui dissero che avrebbero assoldato un killer che con 25mila euro mi avrebbe fatto fuori». Un’altra morte scampata. «Mi lasciò prima che potessero uccidermi e tornò al suo paese, al sud». Una relazione con una persona più giovane, secondo Grillini, è bellissima: «Penso di poter parlare a nome di molte persone – dice – dicendo che quello della differenza d’età è l’ultimo tabù da sfatare nella nostra società. Abbiamo fatto accettare le relazioni fra due persone dello stesso sesso, ma la gente fatica ancora a comprendere gli amori nati fra chi ha età molto diverse».

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