Cento anni dopo Virginia Woolf, Paul Preciado riscrive l’Orlando al cinema: «Così ho dato voce alle persone trans oppresse» – L’intervista

Esce oggi nei cinema italiani il documentario «Orlando» del filosofo e studioso di genere. A Open racconta come è nato e la sua visione dello stato di salute dei diritti

Era il 1928 quando Virginia Woolf scrisse Orlando, la storia di un giovane aristocratico inglese che, attraversando epoche diverse, sperimenta l’amore, si dedica alla poesia e un giorno cambia sesso. Oggi, un secolo dopo, Orlando torna alla ribalta, incarnato nella biografia politica di Paul Preciado, figura di spicco nel panorama filosofico-letterario per il suo impegno e le sue idee rivoluzionarie sul fronte degli studi di genere legati alla comunità lgbtqia+. Spagnolo di origine e docente in Francia, autore di numerosi testi tradotti in tutto il mondo, tra cui Dysphoria Mundi (Fandango) e Sono un mostro che vi parla (Fandango), Preciado ha fatto coming out come persona trans non binaria nel 2015, sfidando fin da subito le gabbie del binarismo di genere: i comportamenti, le espressioni e i rapporti di potere che derivano dalle etichette classiche di uomo e donna. A distanza di un secolo dalla pubblicazione di Orlando, scrive una lettera a Virginia Woolf per dirle che il suo Orlando è uscito dalla finzione. È vivo e vegeto. E, soprattutto, non è solo. Da qui nasce il primo documentario di Preciado – in uscita al cinema oggi -, una biografia politica che si interroga su chi siano gli Orlando contemporanei. Nel film ci sono 25 persone diverse, tutte trans e non binarie. Bambini di 8 anni, adolescenti, adulti e anziani di 70 anni interpretano Orlando mentre raccontano anche le proprie vite. Una storia intima, politica e letteraria. Ma soprattutto, collettiva. «La mia biografia è una storia collettiva che riguarda migliaia di Orlando invisibili», dichiara Preciado che ha scelto di raccontarsi a Open.


Perché hai scelto Orlando di Virginia Woolf per raccontare la tua biografia?


«Oggi ho 50 anni, sono una persona trans non binaria e quando ero giovane mai avrei immaginato di poter condurre la vita che faccio oggi. Ricordo che durante una lezione di letteratura all’università ci diedero un elenco di libri e io, per puro caso, scelsi di leggere Orlando di Virginia Woolf. Quella storia mi ha completamente stravolto. A metà libro il protagonista cambia sesso e ricordo di aver pensato che se avessi potuto farlo anche io, sarei riuscito a sopravvivere. Se esisteva un Orlando, potevo esistere anche io».

Com’è nata l’idea di far diventare tutto questo un film?

«Non avevo mai considerato l’idea di realizzare un film sulla mia vita, ma un giorno un’emittente televisiva franco-tedesca mi ha contattato proponendomi proprio questo. Inizialmente, l’idea mi ha terrorizzato. Non volevo che la mia vita venisse raccontata e, men che meno, da una prospettiva binaria. Gli ho detto che al massimo avrei voluto un adattamento documentario dell’Orlando di Virginia Woolf, pensando che avrebbero lasciato la presa. Invece, hanno reagito con entusiasmo, e mi hanno detto: “Chi può fare un lavoro del genere meglio di te?”. Da qui la decisione di mettermi alla regia».

Una scena del documentario «Orlando» che ritrae la sala d’attesa dallo psichiatra

Negli anni sono stati fatti altri adattamenti cinematografici dell’Orlando di Woolf. Cosa mancava?

«Nessuno dimostrava una mia profonda convinzione: Orlando esiste ancora, è fra noi. I produttori mi chiesero: “Dove troviamo gli altri Orlando? Non ce ne sono”. Abbiamo aperto i casting e si sono presentati in centinaia. Tanti adolescenti mi hanno confessato di non aver letto il libro, ma andando a spulciare la trama su Wikipedia hanno pensato: “Orlando sono io”. Così, bambini, adolescenti, adulti e anziani hanno preso parte al film».

Nel film ti chiedi come costruire una vita orlandesca in una società binaria. Hai trovato una risposta?

«Continuo a chiedermelo tutti i giorni. Credo sia necessaria una rivoluzione sociale totale, che non appartenga a un solo individuo o a pochi interessati. Se si vive in una società che considera una persona trans come un soggetto affetto patologicamente da disforia di genere, bisognosa di cure mediche e psicologiche, gli Orlando o non hanno possibilità di sopravvivere o vengono trattati come soggetti da curare e normalizzare entro le strutture sociali esistenti e dominanti. Ecco perché questa mia biografia è politica: non è solo la mia storia personale, ma riguarda tutti gli Orlando».

Nel documentario è evidente come le difficoltà e le sofferenze delle persone trans emergano dallo scontro con i diktat sociali e normativi. Il resto che metti in scena è la bellezza di essere una persona in transizione o non binaria. Un aspetto che nelle narrazioni dominanti fatica a emergere. Il tuo Orlando mira a rompere questa rappresentazione?

«Assolutamente. Per me questo è un punto cruciale ed è il motivo per cui ho voluto costruire una narrazione diversa, lontana dalla visione medico-giudiziaria che impera nelle rappresentazioni delle persone trans e non binarie. Per quanto riguarda me, la mia esperienza di transizione è la cosa più bella che abbia mai vissuto in vita mia. È solo la violenza esercitata dalla normatività che cerca di indurti a credere che non lo sia. In questo Virginia Woolf è stata visionaria, riuscendo a farlo un secolo fa. La sua letteratura è stata pionieristica ed è così affascinante vedere il contesto in cui è nato, come pura creatura letteraria, il suo Orlando. Ma aggiungo un passaggio: la mia ipotesi è che Virginia Woolf fosse una persona non binaria».

Quale è il tuo punto di vista sull’attuale stato dei diritti lgbtqia+?

«È complesso da definire. Ci sono forze che sembrano antitetiche tra loro e le cose mutano con grande rapidità. Prendiamo ad esempio l’Argentina: è stata una delle nazioni precursori nell’adozione della desinenza neutra per i documenti di identità. Tuttavia, attualmente, il Paese è governato da un’ala politica di estrema destra che, verosimilmente, adotterà delle norme per arrivare addirittura a impedire la transizione. Le condizioni sono in costante evoluzione, ma è evidente che stiamo assistendo a una rivoluzione grazie a tutti i movimenti che si muovono a livello sociale. Penso agli attivisti trans e non binari, ma anche al Black Lives Matter. Questi movimenti permeano profondamente il tessuto sociale di molte nazioni e, indipendentemente dal governo che c’è in carica, continuano a svolgere un loro ruolo vitale e mantenere la stessa importanza. Il movimento Black Lives Matter, ad esempio, è importante tanto quanto Donald Trump».

Affermi che c’è una “guerra” in atto sui corpi delle persone trans. Vale anche per le persone razzializzate?

«Senza dubbio, è in corso un’ennesima guerra che stiamo vivendo sui nostri corpi e sulle nostre vite che si aggiunge anche alle guerre in corso, geograficamente parlando, in Palestina o in Ucraina. Per questo il tentativo deve essere quello di contrastare e di modificare quello che è l’atteggiamento etero patriarcale di supremazia bianca e di identificazione normativa binaria che impera nelle nostre società e nei nostri paesi. È una guerra aperta, sicuramente molto violenta, e noi dobbiamo agire».

In quali spazi?

«Nelle istituzioni che fungono da nostro parlamento. Per nostro intendo della società civile. Gli ospedali, le scuole, i luoghi di cultura sono i nostri parlamenti. Sono spazi dover poter agire e intervenire. Ad esempio, anche il cinema lo è».

Una scena del documentario «Orlando» che ritrae bambini trans non binari

Spesso il dibattito si concentra sui minori. In Italia, ma non solo, c’è uno scontro aperto sui farmaci bloccanti della pubertà che vengono prescritti agli adolescenti trans. Qual è il tuo punto di vista sulla questione?

«Sono dell’idea che i ragazzini debbano avere il diritto di voto molto prima della maggiore età. Considerando che sono direttamente interessati da molte leggi, il più delle volte formulate in termini di divieti nei loro confronti, è giusto che abbiano voce in capitolo e che possano esprimere il loro voto su questioni che li riguardano. Basta guardare all’esempio e all’impatto di Greta Thunberg. Si meritano (e ci meritiamo) di riuscire a ridefinire i termini delle nostre democrazie».

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