Siria, cosa succede dopo il raid di Israele sull’ambasciata dell’Iran: «La vendetta arriverà al momento giusto»

L’omicidio mirato di Zahedi. La condanna dell’attacco terroristico. Le paure di Washington e il rischio escalation

Il raid di Israele sull’ambasciata iraniana in Siria è il colpo più importante dall’uccisione di Soleimani. Ma ora Teheran studia la vendetta e c’è il rischio di una guerra regionale. Nello strike è morto l’80enne Mohamed Reza Zahedi, che guidava i 4 mila pasdaran impegnati a sostenere il regime di Bashar Al Assad e agiva come collegamento con Hezbollah. Con lui sono stati uccisi Hossein Aminullah, capo di Stato maggiore per Siria e Libano, e Haj Rahimi, comandante dell’ala palestinese. Reuters racconta che nel distretto di Mezzeh a Damasco gli operatori dell’emergenza si sono arrampicati sulle macerie dell’edificio distrutto mentre una bandiera dell’Iran pendeva tra le macerie. L’ambasciatore di Teheran ha detto che l’attacco ha colpito un edificio consolare all’interno dell’ambasciata.


L’attacco «terroristico»

«Condanniamo fermamente questo atroce attacco terroristico che ha preso di mira l’edificio del consolato iraniano a Damasco e ha ucciso numerosi innocenti», ha detto il ministro degli Esteri siriano Faisal Mekdad, sul posto insieme al ministro degli Interni siriano. Israele ha preso da tempo di mira le installazioni militari iraniane in Siria. L’attacco di lunedì è stato una novità. Il paese li ha intensificati insieme alla guerra contro Hamas innescata dall’attacco del 7 ottobre. Secondo le autorità sanitarie palestinesi più di 32.000 palestinesi sono stati uccisi nell’offensiva israeliana a Gaza. Il New York Times ha detto che quattro funzionari israeliani hanno riconosciuto che Israele aveva effettuato l’attacco.


Le paure di Washington

La missione iraniana delle Nazioni Unite ha descritto l’attacco come una «flagrante violazione della Carta delle Nazioni Unite, del diritto internazionale e del principio fondamentale dell’inviolabilità delle sedi diplomatiche e consolari». Il portavoce del Dipartimento di Stato americano Matthew Miller ha detto che Washington rimane «preoccupata per qualsiasi cosa possa provocare un’escalation o causare un aumento del conflitto nella regione». Ma gli Usa non si aspettano che l’attacco influenzi i colloqui sulla liberazione degli ostaggi israeliani detenuti da Hamas. Jon Alterman del think tank CSIS ha affermato che l’attacco probabilmente riflette la convinzione di Israele che tali colpi non siano pericolosi e rendano meno probabile, anziché più, un conflitto più ampio: «Sono convinti che finché faranno qualcosa del genere periodicamente, i loro avversari saranno scoraggiati».

Il rischio escalation

Steven Cook, analista del Council on Foreign Relations di Washington, intravede il rischio potenziale di un’escalation. «L’IRGC può allentare le restrizioni sui delegati in Iraq e Siria, mettendo nuovamente in pericolo le forze americane. Gli iraniani potrebbero anche ordinare a Hezbollah di intensificare i suoi attacchi contro Israele, che sono diventati sempre più audaci e numerosi». Repubblica spiega che attualmente l’Iran non può permettersi di bombardare in via diretta bersagli di Israele perché darebbe il via a un’escalation imprevedibile. Dopo la morte di Soleimani i militari iraniani bombardarono le basi americane in Iraq per una notte. E ai più quella apparve una mossa coreografica per lasciare il contentino della reazione all’opinione pubblica. L’operazione si concluse senza vittime.

La rappresaglia

È invece possibile che Teheran scelga altre azioni di rappresaglia. Già oggi al confine con il Libano Hezbollah lancia attacchi con missili e colpi di mortaio. Le risposte di Israele hanno portato a più di 500 vittime in sei mesi secondo i giornali. Poi c’è il mar Rosso, dove gli Houthi prendono di mira le navi commerciali. Si rischiano anche nuovi attacchi nei confronti delle basi americane in Siria e in Iraq. Per ora l’Iran dice che la vendetta arriverà al momento giusto.

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