Ultra, il racconto del potere: i Popolari europei, il big player che nessuno schema potrà escludere

I gruppi, i partiti, i leader che “fanno” l’Europa. Cominciamo dall’European People’s Party, uno dei pilastri della nuova Europa, che da 25 anni ne esprime la leadership. Ma da tempo perde voti

Anche stavolta, tutto inizia e finisce con loro. Molti equilibri cambieranno, alleanze storiche potrebbero rompersi, ma c’è una cosa che non cambierà neppure stavolta nel parlamento europeo, a detta di tutti i sondaggi: i Popolari europei saranno il primo partito, magari non con i 295 seggi che furono il loro apice massimo tra il 1999 e il 2004 (ma i seggi erano 788) certamente però con una presenza ragguardevole. Oggi i Popolari sono 178 su 705 e sono comunque il primo partito, posizione che non hanno mai più abbandonato dal 1999, cioè da 25 anni. 


Ma chi sono e come nascono i popolari europei? 

Il Ppe è nato nel 1976 come una federazione di partiti politici provenienti da vari stati membri dell’UE. Tra i partiti fondatori c’erano la Democrazia Cristiana tedesca (CDU), la Democrazia Cristiana italiana (DC), e il Partito Conservatore britannico (ora noto come Partito Conservatore e Unionista). Condividevano valori comuni basati sulla democrazia cristiana, il liberalismo economico e il conservatorismo sociale. Sono dei Popolari europei Ursula von der Leyen, il suo predecessore Jean Claude Junker, prima ancora Manuel Barroso (Romano Prodi, predecessore di Barroso, non era iscritto ad alcun gruppo parlamentare europeo). 


Manuel Barroso e Jean Claude Junker in una foto di archivio. EPA/OLIVIER HOSLET

Non sono solo i presidenti della commissione europea ad essere fondamentali per l’immagine del Ppe. Angela Merkel, cancelliera della Germania fino al 2022 è stata forse una delle figure più iconiche dei Popolari, fino ad un passato recente che oggi ci appare lontanissimo.

Sono stati i Popolari a gestire tutta la fase dell’allargamento ad Est dell’Unione, a partire dal 2004 quando hanno fatto il loro ingresso Repubblica Ceca, Cipro, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia (nel 2007 si sono aggiunte Bulgaria e Romania). E le loro scelte sono state fondamentali, ad esempio, quando si è discusso di procedure di infrazione da parte di Ungheria e Polonia i cui leader facevano rispettivamente parte del Ppe (Fidesz è stato sospeso nel 2019 per poi lasciare definitivamente il Ppe) e dell’Ecr (il Pis polacco ha guidato il paese dal 2015 al 2023). 

L’European People’s Party è una vera e propria galassia e include formazioni politiche molto diverse tra loro, spesso persino nello stesso paese visto che in alcuni paesi i partiti associati al Ppe sono più di uno (il caso più emblematico è probabilmente la Bulgaria dove sono quattro). Una particolarità su tutte: come ha dimostrato un’analisi di Politico i suoi parlamentari europei sono i più presenti su Tiktok, con 34 “Mep” attivi. Non il più virale, però: il parlamentare popolare che ha più follower, Andrzej Halicki, non scrive di politica ma dei suoi, indubbiamente bellissimi, cani danesi. 

La diminuzione dei voti

Lorenzo Pregliasco, direttore dell’agenzia Youtrend, spiega che i Popolari europei sono ancora molto forti. Ma che hanno visto spostarsi una parte dei propri elettori a destra, tra i Conservatori europei o persino verso Identità e democrazia. «Il paradosso è che i popolari europei sono il cardine delle elezioni europee ma sono sempre meno autonomi e hanno sempre più bisogno di trovare sponde». Anni fa i popolari erano la forza in grado di includere tutto il pensiero conservatore, ora hanno diverse realtà alla loro destra. La preoccupazione per questa crescita a destra di un elettorato che prima si affidava a loro, spinge una parte dei partiti che compongono il Ppe a prendere posizioni più attente ai temi della destra. «Questo significa – dice ancora Pregliasco – che potrebbe essere più timido su dossier come l’immigrazione o il clima, sui diritti civili invece la disponibilità ad essere conservatori cambia da paese a paese. Nell’Est Europa c’è una maggiore sensibilità all’impronta cristiana del Ppe che non c’è in altre parti del nostro continente, anche in Italia l’elettorato di Forza Italia non è conservatore su temi come il diritto all’aborto».

Il caso italiano

In effetti, storicamente le posizioni di Forza Italia sono sempre state particolarmente attente ai diritti civili e alle loro declinazioni. Oggi la leadership di Antonio Tajani ha rafforzato l’identità moderata, anche alleandosi con gli eredi dell’Udc, ma la scelta non ha rappresentato un cambiamento sul tema dei valori: «Assieme a Noi moderati abbiamo lavorato per rafforzare e dare prospettiva a un progetto che deve vedere il Ppe al centro della politica italiana e europea – ha detto annunciando l’intesa». Questo non è solo «un accordo elettorale ma è parte di un progetto che deve occupare uno spazio tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein».

Come vanno oggi i popolari in Europa?

Per avere un’idea più precisa è comunque utile riepilogare il complesso delle alleanze di cui fanno parte i popolari all’interno dell’Unione europea. 

  • Il leader più noto anche a livello internazionale è Donald Tusk, oggi presidente del consiglio in Polonia, tra il 2014 e il 2019 presidente del Consiglio europeo: è  alla guida di una coalizione che include partiti di sinistra moderata ed esclude formazioni di destra e in particolare il Pis, di Mateusz Morawiecki, membo dell’Ecr, il gruppo dei Conservatori europei, e a lungo suo leader. 
  • C’è poi Evika Siliņa che in Lettonia guida una coalizione con verdi e sinistra moderata. 
  • In Grecia e Croazia ci sono due governi monocolori, guidati, rispettivamamente da Kiriakos Mitsotakis, e Andrej Plenković (Plenkovic ha solo una sottosegretaria, senza portafoglio, di centrosinistra ma in rappresentanza della minoranza serba). 
  • La lituana Ingrida Šimonytė è a capo di una coalizione con la destra. 
  • Ulf Kristersson in Svezia guida una coalizione moderata di destra.
  • Simon Harris si è insediato da pochi giorni a capo del governo irlandese, indicato dal suo partito (e fondatore dei Popolari europei) Fine Gael.

Il Ppe fa poi parte, senza esprimere il presidente del consiglio di alcuni governi: 

  • In Belgio, di un’alleanza che include Verdi, Liberali e Socialisti (un formato simile alla coalizione Ursula, sebbene i Verdi non ne facessero inizialmente parte).
  • In Repubblica Ceca di un governo guidato da un membro di Ecr, così come accade in Italia dove il ministro di riferimento per il Ppe è Antonio Tajani, mentre la premier Giorgia Meloni è anche leader dei conservatori europei dell’Ecr. 
  • Infine, i Popolari  in Ungheria appoggiano Viktor Orban, sebbene i rapporti a livello europeo siano pessimi.

Il ruolo di Ursula von der Leyen

Al momento, i popolari sono al centro della discussione verso le prossime elezioni europee non solo per i risultati e perché ci si aspetta che siano confermati come primo partito, ma anche perché non è chiaro chi sarà il candidato che indicheranno perché sia poi votato dal parlamento europeo. O meglio, il cosiddetto spitzenkandidat è stato indicato: si tratta di Ursula von der Leyen, presidente uscente e che punta al secondo mandato. Al congresso del Ppe a Bucarest, è stata votata come candidato presidente e quindi per la rielezione, ma con un numero di voti probabilmente inferiore alle attese visto che su 700 votanti ha incassato 400 sì. Diversi esponenti di Renew Europe –  partito che era stato fondamentale nella “creazione” della sua figura, visto che è quello guidato da Emmanuel Macron –   poi, hanno fatto sapere di non considerarla più la candidata più forte. Il commissario francese Thierry Breton e il ministro tedesco Christian Lindner, sempre di Renew, sono stati particolarmente espliciti. Macron, il leader di fatto del partito, non ha però ancora preso pubblicamente posizione, né lo ha fatto la presidente Valerie Hayer. Secondo Deborah Bergamini, responsabile Esteri di Forza Italia, se l’alleanza che elegge il nuovo presidente della commissione europea, meglio se proprio von der Leyen, fosse eletto dai popolari europei con la destra e senza i socialisti (cosa che al momento, ma bisognerà vedere dopo il voto, tutti sembrano escludere) non ci sarebbe nulla di male, anzi: «La strategia del Partito popolare europeo è in continuità con quanto fatto sin qui. E’ chiaro che più le alleanze sono coerenti al loro interno più efficace sarà la politica di quel paese o di quella istituzione. Lo abbiamo dimostrato quando abbiamo eletto Antonio Tajani presidente del parlamento europeo, con il voto del Ppe, della destra (Ecr) e dei liberali, è chiaro che puntiamo a ripetere quella esperienza. Ma non è detto che sia possibile, dipenderà dall’aritmetica dei voti».

Il peso di Giorgia Meloni e il ruolo delle alleanze nelle urne

Il problema von der Leyen riguarda ora anche Giorgia Meloni. La leader italiana e leader del partito dei conservatori Europei, il partito che punta a diventare il terzo del parlamento europeo, visto l’annunciato crollo dei Verdi ( per quanto indeboliti i Socialisti dovrebbero invece restare secondi) aveva lasciato intendere che avrebbe potuto sostenere Ursula von der Leyen. Al di là delle dichiarazioni –  che in ogni caso non si sono mai spinte al no – Meloni ha coinvolto von der Leyen in praticamente tutte le iniziative politiche prese all’estero, specie in tema di migrazioni e di conflitto in Ucraina. L’Ecr però è a dir poco spaccato sul tema. Certamente non vuole votare per Von der Leyen il leader del Pis polacco, fino ad ora il primo partito dell’Ecr, Mateusz Morawiecki e in ogni caso l’appoggio a von der Leyen si è fatto più scomodo da quando Marine Le Pen ha attaccato Meloni proprio su questo argomento durante la convention di Identità e democrazia a Roma, sabato 23 marzo. Le accuse di aver distrutto informazioni importanti circa l’acquisto dei vaccini europei arrivate anche dal New York Times, quelle di aver dato incarichi senza rispettare la collegialità e il malumore degli alleati per come von der Leyen ha annunciato di voler far nascere un «super commissario» alla Difesa, senza avere una delega specifica sul tema, hanno indebolito la sua candidatura. Ma la scelta del successore sarà fatto lontano dalle urne, in tutti i sensi, spiega ancora Lorenzo Pregliasco: «Il dettaglio delle alleanze parla agli addetti ai lavori. Molti elettori europei non sanno a quale gruppo appartiene il partito che votano. Un sondaggio che abbiamo svolto recentemente sull’Italia mostrava ad esempio che un terzo soltanto degli elettori di Fratelli d’Italia sa che il gruppo di appartenenza è quello dei Conservatori. Neanche il 40% degli elettori del Pd sa che il loro è quello dei Socialisti e democratici. Quello che notano gli elettori notano è quanto un partito è dentro il sistema e quanto è fuori dal sistema. A decidere chi succederà von der Leyen saranno soprattutto i governi».

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