Boeing, la denuncia shock di un ingegnere: «Gravi rischi per gli aerei, ma in azienda chi pone il tema sicurezza viene minacciato»

La testimonianza di Sam Salehpour al Senato Usa: «Ho sollevato la questione per tre anni, mi hanno detto di stare zitto. Ora parlo per salvare vite»

Alla Boeing è meglio non parlare di possibili problemi di sicurezza. Se lo fai, nel migliore dei casi vieni ignorato. Nel peggiore, vieni minacciato. È la denuncia shock fatta questa sera al Senato Usa da Sam Salehpour, un ingegnere della casa aeronautica americana. Il whistleblower ha testimoniato di fronte a un comitato del Congresso Usa chiamato a indagare sulle possibili falle nel rispetto degli standard di sicurezza da parte di Boeing, dopo la catena di incidenti inquietanti degli ultimi mesi. E Salehpour, così come altri tre dipendenti attuali o ex della società, ha squadernato verità inquietanti: «Non sono qui perché voglio essere qui, Sono qui perché non voglio vedere lo schianto di un 787 o di un 777», ha detto l’ingegnere confessando di nutrire «serie preoccupazioni sulla sicurezza del 787» e di essere disposto a correre il relativo rischio professionale nel denunciarle apertamente. Parole che anche dentro Boeing, non solo fuori, nessuno voleva sentire: «Ho sollevato il problema per tre anni, ma sono stato ignorato. Mi è stato detto di non creare ritardi e in buona sostanza di stare zitto». Salehpour ha riferito che questo era il clima che si respirava in azienda con chiunque provasse a far presente le questioni di sicurezza degli aerei o delle loro parti. Anzi lo sarebbe tuttora. «C’è una cultura per la quale quando affronti le questioni di qualità, vieni minacciato», una cultura della «rappresaglia» contro i dipendenti che sollevano quel tipo di problemi. L’ingegnere una volta avrebbe addirittura trovato un chiodo stranamente conficcato in una gomma della sua auto. «Tutto quello che sto cercando di dire è che il sistema dev’essere cambiato», ha concluso la sua testimonianza Salhepour confessando di sapere a che cosa potrebbe andare incontro: «Se mi succede qualcosa, sono tranquillo, perché ho la sensazione che, testimoniando apertamente, salverò molte vite».


La catena di errori

All’inizio dell’anno il 5 gennaio, fece scalpore in tutto il mondo il distacco di un portellone da un Boeing 737 Max 9 in uso all’Alaska Airlines appena decollato da Portland. Mancavano quattro bulloni cruciali per tenere chiuso quel portellone, hanno verificato gli esperti della National Transportation Safety Board nel primo rapporto su quell’incidente. Cui sono seguiti una serie di altri guai. Pochi giorni dopo, nei controlli a tappeto imposti dalle autorità, la United Airlines trovò bulloni allentati sui portelloni di diversi velivoli. Quindi in Giappone un Boeing della All Nippon Airways costretto a rientrare in aeroporto poco dopo il decollo per una crepa su un finestrino della cabina di pilotaggio. Quindi poche settimane dopo la scoperta che uno dei fornitori dei 737 avrebbe praticato fori sulle fusoliere in punti sbagliati. Una catena di errori e guai insostenibile, che ha convinto il Congresso americano ad aprire un’indagine: dopo le “talpe” sentite oggi, sfileranno in udienza funzionari della Boeing e della Federal Aviation Administration. E c’è da giurare che la storia è ben lungi dal chiudersi. Per il momento la società non ha replicato alle accuse di Salehpour e degli altri whistleblower.


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