Il ricorso per le multe autovelox conviene solo a chi l’ha fatta grossa. Altrimenti avere ragione costa molto più della sanzione da pagare

Il caso di Treviso che ha spalancato la porta ai ricorsi aveva una peculiarità: a impugnare la multa è stato un avvocato. Le spese legali che devono sostenere i cittadini per avere ragione sono invece molto elevate

Se uno legge con attenzione l’ordinanza della Corte di Cassazione del 18 aprile scorso sugli autovelox, c’è più di un particolare che rischia di spegnere l’entusiasmo delle prime ore dei tartassati dalle multe per l’eccesso di velocità su strade e autostrade. Come si sa il ricorso è stato vinto dal multato, e la Cassazione ha ritenuto illegittima la sanzione basata su apparecchiature autovelox perché non omologate come prevedeva invece la legge. Il primo particolare che salta all’occhio è il nome del cittadino che ha trionfato sui vigili del comune di Treviso. Si chiama Andrea Nalesso ed è un avvocato. Ha potuto difendersi da solo perfino davanti alla Cassazione dopo averlo fatto davanti al Giudice di Pace e nel 2021 davanti alla sezione civile del Tribunale di Treviso. In questo modo ha potuto risparmiare su una spesa che peserebbe sulle spalle di cittadini che fanno un’altra professione: quella per l’assistenza legale.


Ricorso al prefetto gratis, ma davanti al giudice di pace no

Anche se un’ordinanza di Cassazione non fa in sé giurisprudenza, è probabile che se oggi si facesse ricorso per multe prese per eccesso di velocità prefetti, giudici di pace, tribunali civili e la stessa Cassazione darebbero ragione al cittadino ricorrente. Già nei primi giorni dopo l’ordinanza molti cittadini hanno intrapreso questa strada. Bisogna però stare attenti ai costi da sopportare per avere l’annullamento della multa. Nella prima fase il ricorso al prefetto è gratuito, ma fa fatto entro 60 giorni dalla contestazione e se respinto fa correre il rischio di vedersi la multa raddoppiata. Se invece si ricorre al giudice di pace non c’è bisogno di farsi assistere da un avvocato, e i costi dipendono dal contributo unificato: se la multa o le multe che si impugnano non superano i 1.100 euro si pagano 43 euro di contributo. Sopra quella somma e fino a 5.200 euro di sanzioni si paga un contributo di 98 euro. Oltre il contributo diventa di 237 euro.


Tutte le sanzioni previste dal codice della strada se si supera la velocità

Tutto dipende quindi dall’importo della multa per eccesso di velocità. Questa varia a seconda dei limiti, della tolleranza e del superamento effettivo della velocità. Se si è stati multati significa che la tolleranza (5 km/h fino a 100 km, 5% sopra quella velocità) è stata superata. A quel punto entro i 10 km all’ora di eccesso di velocità si pagano da 42 a 173 euro. Se l’eccesso di velocità è superiore ai 10 km/h ma inferiore ai 40 km/h la multa oscilla fra 173 e 694 euro. Se la velocità è superiore al limite oltre i 40 km/h ma sotto i 60 km/h non solo la multa sale da 543 a 2.170 euro, ma la patente viene sospesa da uno a tre mesi. Infine, se l’eccesso di velocità è superiore di 60 km/h ai limiti la multa oscilla fra 845 e 3.382 euro e la patente viene sospesa per un minimo di 6 mesi fino a un massimo di 12 mesi.

La mazzata delle spese legali in appello e in Cassazione

Davanti al giudice di pace, dunque, il ricorso è conveniente per ogni tipo di sanzione per eccesso di velocità: il costo del contributo unificato o è pari (nel minimo) o è sempre inferiore alla multa per eccesso di velocità. Se si è ragionevolmente convinti di vincere come in questo caso grazie all’ordinanza di Cassazione in sé è perdente solo per chi ha avuto una multa da 42 euro. Lo è in tutti i casi ovviamente se il giudice di pace respinge il ricorso del cittadino, costringendolo a pagare sia la multa originaria che il contributo unificato. Solo che quasi mai il contenzioso finisce qui. Nel 90% dei casi i Comuni a cui non costa nulla l’assistenza legale, avendo avvocati al proprio servizio tutto l’anno, impugnano tutte le decisioni a loro sfavorevoli sia davanti al giudice di pace che nei successivi gradi di giudizio di appello e di Cassazione. In tribunale civile il contributo unificato sale e il minimo è di 64,50 euro. Altro rialzo per i giudizi in Cassazione dove salgono nel minimo a 86 euro. Poi – come nel caso in questione – il contributo può raddoppiare per avere l’ordinanza favorevole o sfavorevole che sia. E in questi gradi di giudizio (civile e Cassazione) il cittadino non può difendersi da solo ma deve essere assistito, a differenza di Andrea Nalesso che era avvocato, da un legale cui bisognerà pagare almeno l’onorario minimo che secondo le tabelle in vigore per una vicenda così oscilla da 849 a 2.546 euro in quei gradi di giudizio in caso di causa inferiore ai 1.100 euro. Ma se le multe impugnate fossero comprese nel range 1.100-5.200 euro il costo del legale salirebbe da un minimo di 1.458 a un massimo di 4.373 euro. Per poi salire di molto sopra quell’importo della causa.

Il ricorso conviene solo a chi l’ha fatta davvero grossa

Ed ecco il secondo particolare che getta molta acqua sul fuoco. La vicenda dell’avvocato Nalesso dice che pure avendo avuto ragione in tutti e tre i gradi di giudizio, le sentenze favorevoli si sono concluse con la compensazione delle spese affrontate. Questo significa che il cittadino rischia comunque di pagare avvocato e contributi senza esserne rimborsato nemmeno in caso di sentenze a lui favorevoli. Alla fine, quindi, la multa non si pagherebbe, ma tutta la vicenda avrebbe un costo notevolmente superiore (anche venti volte) alle multe che si risparmiano. Fare ricorso e prepararsi ad affrontare i tre gradi di giudizio conviene in sostanza solo a chi l’ha fatta molto grossa: può anche accadere che le spese legali siano superiori alle sanzioni ricevute, ma in questi casi il cittadino alla guida vedrebbe annullata la sanzione accessoria della sospensione della patente che ha un peso economico che può essere rilevantissimo se l’automezzo è utilizzato per fare il proprio lavoro.

Non c’è par condicio fra cittadini e comuni che danno le multe per fare cassa

Sarebbe più semplice tutto se i comuni accettassero le decisioni di primo grado dei prefetti (che spesso non esaminano le cause, tanto dopo 210 giorni vale il silenzio-assenso e il ricorso si considera accolto) e dei giudici di pace. Invece quasi sempre impugnano quelle decisioni per un motivo molto semplice: gli incassi di quelle multe sono stimati nei bilanci di previsione degli enti locali, e prima della chiusura dell’esercizio quei soldi devono essere effettivamente in cassa. Ai cittadini le spese legali costano, agli enti pubblici no e quindi con tutta evidenza non si è uguali davanti alla legge, non c’è par condicio. Questo è l’aspetto più odioso della contesa che depotenzia di molto l’ordinanza della Cassazione. Eppure il tema affrontato non era di lana caprina: se gli autovelox o i tutor non sono omologati c’è il sospetto che potrebbero sbagliare la rilevazione perché non tarati in modo uniforme e corretto. Una cosa simile a quello che accade ai cittadini guardando il contachilometri sul proprio cruscotto: se non tarato correttamente, quello potrebbe illudere il guidatore di restare nei limiti di velocità consentiti quando invece li supera. È una questione che si risolverebbe assai facilmente con un decreto ministeriale che stabilisca le caratteristiche per l’omologazione di autovelox e tutor. Ma è un provvedimento sotto cui nessuno sembra volere mettere la propria firma, perché poi non ci sarebbe più ricorso che tenga.

Leggi anche: