La storia di Flavia A., mamma a 63 anni con la fecondazione assistita in Ucraina
Flavia A. ha 63 anni e sette mesi. Ed è diventata madre di un bambino. La donna, che ha lavorato come bibliotecaria a Viareggio, è andata a Kiev per la fecondazione assistita. Contro il parere del suo ginecologo Andrea Marsili: «Le ho detto: hai 60 anni. Ma non c’è stato verso di dissuaderla. Si può soltanto starle accanto e fare assistenza sanitaria», dice il dottore a La Stampa. Il piano per rimanere incinta, racconta il quotidiano, l’ha organizzato da sola. Con la fecondazione in vitro, una tecnica che costa circa 15 mila euro, a cui in Italia non si può avere accesso una volta superati i 50 anni. Ma in Ucraina sì. Dopo essere stato fecondato l’embrione viene trasferito nell’utero materno. Se attecchisce, la gravidanza comincia.
Le gravidanze
Flavia è partita una prima volta per Kiev nel 2022. La prima gravidanza è arrivata fino alla 14esima settimana: «Invece a un certo punto la signora è venuta in studio e abbiamo constatato che il tentativo era fallito», racconta ancora Marsili. A quel punto l’autunno scorso a 63 anni è partita di nuovo. Alla clinica Biotex Com le impiantano un nuovo embrione, proveniente da un bagnino e da una maestra di nuoto. «Ha avuto una gravidanza gemellare ma uno dei due si è spento dopo qualche settimana senza conseguenze per l’altro. La signora non aveva patologie a parte la pressione alta e il diabete. Lunedì ho trovato la pressione molto alta. Abbiamo deciso per il ricovero e il cesareo d’urgenza. C’è stato un sanguinamento ma per il resto nessun problema», conclude Marsili. Il piccolo è nato di 31 settimane e 4 giorni, pesa due chili.
Il ricovero
La donna è stata portata in rianimazione per problemi di emoglobina e di pressione alta. «Era però molto felice e al tempo stesso un po’ preoccupata all’idea della quantità di fogli che doveva compilare. Non ha detto molto di più perché era ancora sotto l’effetto dei sedativi e poi è stata portata in rianimazione. Non appena sarà possibile tornerà a casa con il piccolo e speriamo che tutto vada bene. Da parte nostra avrà tutto il sostegno che è necessario e faremo in modo che in questi giorni si rilassi e si riprenda. Ormai sì, siamo un po’ la sua famiglia e sappiamo che la cura non è solo farmacologica ma anche psicologica. Ci rendiamo conto che ci vuole un po’ di follia per fare una scelta come questa ma noi l’abbiamo accolta a braccia aperte», conclude Marsili.
Leggi anche:
- Fecondazione assistita, si cambia: anzi no. Ecco cosa prevedono le nuove linee guida (con 6 anni di ritardo)
- Fecondazione assistita, la sentenza della Consulta: «L’uomo non può revocare il consenso ad avere un figlio»
- La ragazza licenziata dopo la fecondazione in vitro: «Scegli: o fai la mamma o lavori»