«Chiedere scusa? Certo, naturalmente. Mi dispiace, profondamente, che sia successa una cosa del genere». Inizia così, con questa ammissione il premier israeliano Benjamin Netanyahu. La prima dopo 10 mesi da quel 7 ottobre in cui gli attacchi delle milizie dell’organizzazione terroristica di Hamas uccisero 1.200 israeliani. L’intervista del periodico statunitense Time parte proprio da quegli eventi: «Si guarda sempre al passato e si dice: “Avremmo potuto fare qualcosa per evitarlo?”».
August 8, 2024
La difesa contro l’asse iraniano
Far di Israele un Paese sicuro. Di questo risultato si faceva vanto il primo ministro nelle sue costanti lotte elettorali prima del 7 ottobre. E di questa responsabilità carica il suo mandato con il confronto imminente con la Repubblica Islamica: «Non stiamo affrontando solo Hamas. Siamo di fronte a un vero e proprio asse iraniano e capiamo che dobbiamo organizzarci per una difesa più ampia». In risposta alle paure dei suoi connazionali, Netanyahu ha ben chiaro quale sia la posta in gioco: «Essere distrutti ha implicazioni più grandi sulla sicurezza di Israele». E non si preoccupa dei rapporti con la stampa e con l’opinione internazionale, preferendo invece portare a termine la sua missione: «Preferisco avere una cattiva stampa che un buon necrologio».
Sui soldi fatti passare dal Qatar: «Volevamo evitare un collasso umanitario»
Netanyahu rigetta poi al mittente tutte le accuse che gli imputano di aver affamato la popolazione: «Abbiamo fatto di tutto per consentire l’assistenza umanitaria fin dall’inizio della guerra». Anzi, secondo il premier israeliano, le valigette piene di soldi che arrivavano dal Qatar e che Israele lasciava passare, avevano un fine nobile: «Volevamo assicurarci che Gaza avesse un’amministrazione civile funzionante per evitare un collasso umanitario». Una narrazione che vuole allontanare la tesi di non aver sorvegliato come Hamas spendesse quei soldi: «Il problema principale era il trasferimento di armi e munizioni dal Sinai a Gaza. Il 7 ottobre ha dimostrato che chi diceva che Hamas era scoraggiato si sbagliava. Semmai, non ho messo abbastanza in discussione il presupposto che era comune a tutte le agenzie di sicurezza».
«L’erosione del sostegno a Israele è un problema dell’America»
Il premier israeliano approfondisce poi i suoi rapporti con gli Stati Uniti e con l’opinione americana. Il viaggio di Netanyahu nel continente nordamericano ha suscitato proteste, anche in seguito al suo discorso al Congresso, e sollevato nuovi dubbi sulla politica estera che i due candidati alla Casa Bianca, il repubblicano Donald Trump e la democratica Kamala Harris, porteranno avanti. «Non credo che la tanto denunciata erosione del sostegno tra alcuni settori dell’opinione pubblica americana sia legata a Israele. È più legato all’America. C’è un problema che l’America ha. Non è un problema che ha Israele», ha sostenuto Bibi, com’è anche chiamato in patria.
Il futuro di Gaza e della Cisgiordania
«Mi piacerebbe vedere un’amministrazione civile gestita dai palestinesi, magari con il sostegno di partner regionali. Smilitarizzazione da parte di Israele, amministrazione civile da parte di Gaza», è questo il futuro che ha in mente Netanyahu dopo che avrà distrutto le milizie di Hamas. A questo progetto dovranno collaborare anche i Paesi arabi per contribuire all’installazione di un’entità governativa palestinese civile che non rappresenti una minaccia per Israele. Sulla Cisgiordania, la cosiddetta West Bank, ribadisce: «Sono d’accordo sulla necessità di mantenere una maggioranza ebraica, ma penso che dovremmo farlo con mezzi democratici. Ecco perché non voglio incorporare i palestinesi in Giudea e Samaria (nomi biblici delle regioni, ndr.) come cittadini di Israele. Dovrebbero votare per le loro istituzioni. Dovrebbero avere il loro autogoverno. Ma non dovrebbero avere il potere di minacciarci».
«Resterò in carica se potrò guidare Israele verso un futuro sicuro»
Netanyahu si sbilancia poi sul proprio futuro come guida politica di Israele: «Il sionismo sopravvivrà se vinceremo. E se non lo faremo, il nostro futuro sarà in grande pericolo. Resterò in carica finché riterrò di poter contribuire a guidare Israele verso un futuro di sicurezza, sicurezza duratura e prosperità. In ogni caso, questa è la decisione del popolo».
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