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Maternità surrogata, la storia di Maria Sole e Sergio: «Trattati da criminali per aver messo al mondo una figlia. Ora temiamo per lei»

15 Ottobre 2024 - 21:32 Alessandra Mancini
«Le coppie etero che ricorrono alla GPA molto spesso si nascondono e continueranno a farlo dopo l'approvazione della legge», raccontano a Open i genitori di Filomena. Domani il Senato voterà per rendere la pratica "reato universale"

Filomena, il suo secondo nome, ha 19 mesi. «È una bambina testarda, una capatosta come la mamma», ci racconta Maria Sole Giardini. È appena tornata dalla manifestazione organizzata a Roma dalle Famiglie Arcobaleno, a cui ha aderito anche l’Associazione Luca Coscioni, contro il disegno di legge Varchi che vuole rendere la gravidanza per altri (GPA) un reato universale. Domani, mercoledì 16 ottobre, il Senato darà il via libera definito alla proposta di Carolina Varchi di Fratelli d’Italia, già approvata alla Camera, e voluta da Giorgia Meloni, che estende la perseguibilità del reato di maternità surrogata commesso dai cittadini italiani all’estero. Filomena è nata con la gestazione per altri, ovvero la gravidanza portata avanti da una persona per conto di altre persone. Sua madre ha scoperto di avere una condizione congenita caratterizzata dalla mancata formazione parziale dell’utero. «Non posso avere figli se non attraverso la gestazione per altri o il trapianto sperimentale per cui ero in attesa, ma si trattava di un percorso troppo complicato», spiega Maria Sole. Con suo marito Sergio hanno, così, deciso di andare all’estero per intraprendere il percorso di procreazione assistita. «In un Paese – precisa – dove la pratica è legale e normata».

Cosa dice la legge

In Italia la maternità surrogata è (già) vietata: l’articolo 12, comma 6, della legge 40 del 2004 rende impossibile a «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità». Le pene vanno dalla reclusione da 3 mesi a 2 anni a una multa da 600mila fino a 1 milione di euro. Chi vuole accedere alla maternità surrogata deve, dunque, recarsi in un Paese dove la tecnica è legale. Il percorso di procreazione assistita affrontato della coppia di neo-genitori «è stato durissimo e lontano da casa», raccontano. «I primi tentativi non sono andati a buon fine, poi finalmente è arrivata la notizia positiva. Tutta la fatica di quel periodo è, però, svanita quando io e mia figlia ci siamo guardate negli occhi», confida Maria Sole. Alla gestante hanno corrisposto il rimborso spese previsto dalla legge. Si tratta della GPA cosiddetta «altruistica», la gestante non viene pagata per portare avanti la gravidanza, ma riceve un compenso per coprire, tra gli altri, i costi medici. Le due famiglie sono rimaste in contatto, si sentono tutte le settimane: «Il giorno del mio compleanno mi ha scritto “Tantissimi auguri, spero che i tuoi sogni si realizzino” e io le ho risposto che il mio sogno più grande si è già realizzato: avere una figlia – afferma Maria Sole -. La risposta? “Te lo meriti per la tua immensa generosità”. Qui non c’è odio, non c’è una persona costretta a fare qualcosa, ma una persona che si sente fiera di aver aiutato un’altra famiglia a diventare tale. I promotori della legge non ne hanno mai ascoltata una durante le audizioni alla Camera del ddl Varchi – continua -, come fanno a dire che sono tutte donne sfruttate e povere se non le hanno mai ascoltate?».

«Ho messo al mondo una bambina in un Paese dove le nascite sono in caduta libera»

Maria Sole e Sergio stanno «vivendo un’apparente tranquillità», raccontano al telefono. Perché la legge che verrà approvata domani «non è retroattiva». E il procedimento nei loro confronti è stato archiviato. Una volta tornati in Italia, infatti, gli inquirenti hanno aperto un fascicolo di indagine per il reato di maternità surrogata previsto dalla legge del 2004. «Sono state ascoltate alcune persone prima della nostra convocazione in questura. Ma le indagini – prosegue Maria Sole – si sono concluse con un’archiviazione perché nulla è stato fatto in Italia». Ma, ora, con la legge Varchi tutto cambierà: «Le coppie che vanno all’estero per la gestazione per altri verrano incriminate. Quei mesi di indagine per noi sono stati veramente pesanti – continua -. Una famiglia che ha una bambina appena nata, per la prima volta nella loro vita deve fare i conti con pannolini, notti in bianco, pappe, e trovarsi in mezzo a un’inchiesta, con le convocazioni in questura, gli avvocati con cui decidere le strategie da adottare è stato di una crudeltà disumana», confida. E tutto questo «per aver messo al mondo una bambina in un Paese dove le nascite sono in caduta libera».

«Sono già spaventata che si possa trovare male nel mondo e non ha nemmeno iniziato a vivere»

Nonostante l’inchiesta, ora chiusa, e al di là del giudizio etico-morale sulla maternità surrogata ciò che è certo è che a pagarne di più le spese è, con ogni probabilità, Filomena. La legge «sarà un macigno sulle sue spalle perché lei vivrà in un Paese in cui è un reato universale», dice. «E ci rimetteranno gli altri bambini nati con la procreazione assistita anche perché – sottolinea – le coppie etero che ricorrono alla GPA molto spesso si nascondono e continueranno a farlo pure dopo l’approvazione della legge. E io – continua Maria Sole – sono arrabbiatissima per questo: se parlassero, se normalizzassero com’è giusto che sia, probabilmente le nostre storie non finirebbero nella mani di chi le utilizza a scopo propagandistico». Per la famiglia, infatti, «viviamo in un Paese in cui è meglio nascondere la testa sotto la sabbia piuttosto che affrontare i problemi, ma io non voglio insegnare questo a mia figlia – dice -. Sono spaventata del mondo là fuori e ancora non ha nemmeno iniziato a vivere». Ma è anche arrabbiata per il futuro “complesso” che dovrà affrontare sua figlia: «Come farà ad andare a scuola e raccontare ai suoi compagni la sua storia se questo è il clima? È crudele». Per questo motivo, la iscriveranno in un istituto bi-lingue. L’obiettivo è imparare l’inglese il prima possibile. «Spero che varchi presto i confini nazionali per andare a vivere in un Paese civile. Io per tanti anni ho lottato per lei – prosegue -. Ho scritto un libro, organizzato manifestazioni, parlato con parlamentari: volevo farla vivere in un Paese che l’accettasse ancora prima che nascesse, che accettasse la sua storia». C’è solo una cosa, forse più di tutto il resto, che Maria Sole e Sergio si augurano per Filomena, ovvero: «Vivere in un Paese che non la discrimini, con una classe politica che sia veramente attenta alle persone».

Foto copertina: Maria Sole Giardini, sua figlia Filomena e il marito Sergio

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