Stop al trattenimento dei sette richiedenti asilo nel Cpr in Albania: i quattro quesiti del Tribunale di Roma alla Corte Ue
I giudici del tribunale di Roma rinviano alla Corte di giustizia dell’Unione europea la decisione sul trattenimento dei sette richiedenti asilo, cittadini di Egitto e Bangladesh, trasferiti venerdì scorso nel centro di permanenza per il rimpatrio di Gjadër in Albania. In attesa delle pronuncia verranno riportati nel Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Brindisi già stasera, dove hanno 14 giorni di tempo per presentare ricorso contro il respingimento della richiesta di asilo avvenuto nel Paese della Penisola balcanica. Diversamente dalla struttura albanese, i centri italiani sono “aperti”: gli ospiti in attesa dell’esito – si parla di mesi – possono liberamente uscire durante le ore diurne ed assentarsi anche per periodi più lunghi.
I quattro quesiti alla Corte di giustizia Ue
Sono gli stessi magistrati della sezione immigrazione del tribunale romano a spiegare come, sulla scia di «quanto già disposto nei giorni scorsi da due collegi della stessa sezione», si è ritenuto «necessario disporre rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, formulando quattro quesiti». Il Tribunale investe così della questione la Corte affinché chiarisca «vari profili di dubbia compatibilità con la disciplina sovranazionale» emersi dopo l’introduzione da parte del governo Meloni dell’ultimo decreto sui Paesi sicuri. Per i giudici le norme, introdotte dall’esecutivo dopo l’annullamento del trattenimento delle 12 persone migranti, il 21 ottobre scorso, sono in contrasto con quelle europee. In quell’occasione, i due Paesi di provenienza dei richiedenti asilo, Bangladesh ed Egitto, non sono stati ritenuti «sicuri», anche alla luce della sentenza della Corte di giustizia del 4 ottobre secondo cui gli Stati per considerarsi tali lo devono essere in ogni parte del loro territorio.
I dubbi sul decreto Paesi sicuri
Nei quesiti posti all’attenzione della Corte europea i giudici chiedono se il diritto «dell’Unione osti a che un legislatore nazionale, competente a consentire la formazione di elenchi di Paesi di origine sicuri ed a disciplinare i criteri da seguire e le fonti da utilizzare a tal fine, proceda anche a designare direttamente, con atto legislativo primario, uno Stato terzo come Paese di origine sicuro». Per la sezione speciale del tribunale, comunque, «deve essere chiaro che la designazione di Paese di origine sicuro è rilevante solo per l’individuazione delle procedure da applicare; l’esclusione di uno Stato dal novero dei Paesi di origine sicuri non impedisce il rimpatrio o l’espulsione della persona migrante la cui domanda di asilo sia stata respinta o che comunque sia priva dei requisiti di legge per restare in Italia». Nelle circa 50 pagine del provvedimento di oggi, i magistrati spiegano infine che la decisione della sospensione, con richiesta d’intervento all’Unione, è stata «preferita ad una decisione di autonoma conferma da parte del Tribunale della propria interpretazione». Il Viminale, a quanto si apprende, si costituirà di fronte alla Cgue per sostenere le proprie ragioni.
Foto di copertina: EPA/MALTON DIBRA