L’Ue alza la pressione su Israele: pronti a una revisione degli accordi e via libera ai fondi per i palestinesi


L’espansione dell’offensiva militare a Gaza e lo stallo nei negoziati per un cessate il fuoco stanno isolando sempre di più Israele sulla scena internazionale. Se la Casa Bianca di Donald Trump manda avvertimenti «minacciosi», in queste ore è l’Unione europea a valutare iniziative concrete di rottura coi vertici dello Stato ebraico. Oggi i ministri degli Esteri dei 27 sono riuniti a Bruxelles e sul tavolo del Consiglio Ue ci sarà per la prima volta la proposta avanzata dall’Olanda (altro ex governo vicinissimo) di rivedere l’Accordo di associazione Ue-Israele. Sembrava un tabù sino a pochi mesi fa, ora non lo è più. A favore dell’idea sono certamente i Paesi più schierati in solidarietà coi palestinesi come Spagna, Irlanda, Belgio e Svezia, ma la stessa Francia di Emmanuel Macron – che la settimana scorsa aveva detto di essere pronto a fare «tutto quanto possibile per fermare» la guerra di Benjamin Netanyahu – stamattina ha fatto sapere per bocca del suo ministro degli Esteri Jean-Noël Barrot di valutare l’iniziativa, a braccetto con quella di riconoscere lo Stato palestinese. «Ne discuteremo, non posso prevedere il risultato», si è tenuta prudente prima dell’inizio della riunione l’Alta rappresentante per la politica estera Ue Kaja Kallas. Che ha interpretato però la posizione comune dei 27, Italia compresa, dichiarando che di certo gli aiuti umanitari «devono raggiungere Gaza il prima possibile» e che «quello che passa ora non è abbastanza, è una goccia nell’oceano».
I fondi all’Unrwa e il nuovo Inviato speciale Ue
Intanto comunque i governi Ue hanno già mandato altri due segnali concreti a Israele. Da un lato hanno deciso di erogare nei prossimi giorni 82 milioni di euro (già stanziati) a favore dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi che Israele ha messo al bando con l’accusa di collusione con Hamas, per «sostenere l’impegno nel fornire assistenza sanitaria e istruzione ai palestinesi nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania». Dall’altro hanno annunciato la nomina di un nuovo Inviato speciale Ue per il «processo di pace in Medio Oriente», posizione che era rimasta scoperta e che era stata negli ultimi mesi temporaneamente affidata all’ex ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio (fresco di riconferma a inviato per i rapporti col Golfo). Il nuovo uomo dell’Ue sul dossier arabo-israeliano è un diplomatico francese di lungo corso con vasta esperienza sul Medio Oriente, Christophe Bigot. Il mandato affidatogli – per il momento di 12 mesi – è quello di contribuire all’obiettivo Ue di arrivare a «una pace giusta, durevole e completa in Medio Oriente sulla base di una soluzione a due Stati», riafferma il Consiglio nell’occasione. Ribadendo come il documento che fa da punto di riferimento per questi sforzi esiste già ed è l’Iniziativa Araba di Pace ispirata dall’Arabia Saudita e che giace nei cassetti delle diplomazie dal 2002. Come a dire: la strada verso la pace non è impossibile, basta volerlo.
Il cambio di rotta della Casa Bianca
A segnalare un crescente cambio di rotta rispetto alla linea della carta bianca a Israele cui molti – entusiasti o furenti – avevano inizialmente creduto è stato d’altronde lo stesso Donald Trump, che nell’arco di poche settimane, come raccontato su Open, ha sovrinteso all’apertura di negoziati tra gli Usa e tutti i principali nemici di Israele nella regione, dall’Iran agli Houthi sino alla stessa Hamas. Il risultato raggiunto sul fronte di Gaza è stato minimo: la liberazione dell’ostaggio americano-israeliano Edan Alexander dopo 584 giorni di prigionia. Trump avrebbe voluto che quello fosse solo il balon d’essai di un nuovo, ambizioso accordo di tregua da potersi intestare. Il governo israeliano non ha fatto nulla per nascondere la sua ritrosia, avendo invece ben altri piani: quelli, già approvati, per un’espansione della guerra con l’obiettivo di sradicare «fisicamente» Hamas dalla Striscia, spostando la popolazione civile e prendendo il controllo militare di diverse aree. La Casa Bianca, pur politicamente allineata con la destra di Benjamin Netanyahu, quel piano non lo condivide: lo stesso Trump è intervenuto al termine del suo viaggio nel Golfo per denunciare che a Gaza «la gente muore di fame» e secondo il Washington Post i suoi uomini avrebbero fatto sapere al governo israeliano che se procederà con l’operazione «Carri di Gedeone» si ritroverà solo. Ultimatum privato fatto sapientemente filtrare in pubblico, perché tutti sappiano qual è ora la posta in gioco.
Gli avvertimenti dell’Occidente e la replica di Netanyahu
Se gli Usa sono di gran lunga l’alleato più influente su Israele – considerato il peso strategico dei suoi rifornimenti militari, oltre che del suo sostegno politico anche in sede Onu – pure nel resto del «blocco occidentale» il clima si fa di giorno in giorno più pesante per Israele. La pressione crescente dell’opinione pubblica in molti Paesi soprattutto sul blocco di oltre due mesi degli aiuti umanitari (solo parzialmente sciolto nelle ultime 48 ore) e la prospettiva di un’ulteriore escalation militare hanno dato vita a un crescendo di iniziative diplomatiche, anche oltre il quadro Ue. Ieri 22 Paesi hanno, tra cui Francia, Germania, Regno Unito, Australia e Canada, hanno chiesto a Israele di ripristinare «immediatamente e pienamente» il flusso di aiuti. Francia, Canada e Regno Unito sono andati oltre però, firmando una dichiarazione congiunta con cui si sono detti pronti a intraprendere «azioni concrete» se Israele non fermerà la sua nuova operazione militare, compreso il riconoscimento unilaterale dello Stato palestinese. Netanyahu è intervenuto rispondendo a muso duro con gli argomenti e toni ormai noti, accusando gli (ex?) alleati di fare il gioco di Hamas: iniziative del genere «offrono un premio colossale all’attacco genocida contro Israele del 7 ottobre, invitando altre atrocità del genere», mentre Israele «continuerà a difendersi con mezzi giusti sino alla vittoria totale». Ma in Europa e Occidente, pochissimi governi ormai a parte, quasi nessuno sembra più dar credito alle invettive del premier israeliano.
May 19, 2025
Foto di copertina: Ansa/EPA – Olivier Matthys | L’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas col ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar dopo l’ultimo Consiglio di Associazione Ue-Israele – Bruxelles, 24 febbraio 2025