80 anni fa le bombe nucleari su Hiroshima e Nagasaki, il sopravvissuto (ed esperto): «Così convincerei Trump, Putin e Xi ad abbandonare le armi atomiche» – L’intervista


200mila morti, mal contati. Le ceneri di ogni vita, di ogni costruzione umana, di ogni altra specie. La promessa implicita della distruzione totale, definitiva. 80 anni fa l’umanità sprofondava nell’abisso di se stessa con lo sganciamento delle bombe nucleari su Hiroshima e Nagasaki. Era il 6 agosto 1945, poi il 9. Nessuno ha mai potuto contare con esattezza il numero di vittime, né i malati di breve, medio e lungo termine. Le stime più attendibili parlano di un numero compreso tra le 150 e le 246mila vittime totali. Per il Giappone e per il mondo fu un risveglio in un incubo, lo shock e l’incredulità. La Casa Bianca, il Pentagono, i massimi dirigenti del programma nucleare americano sapevano invece esattamente la scala della distruzione che avrebbero causato. La cercarono, con la convinzione che sarebbe stato l’asso nella manica in grado di costringere il nemico alla resa e chiudere così la Seconda guerra mondiale. La rivendicarono con orgoglio e spregio delle conseguenze sui civili, subito dopo. Era anche, di fatto, la mossa d’apertura della Guerra fredda. Messaggio preventivo all’Unione sovietica: «Non provate a sfidarci». 80 anni dopo, il mondo è di nuovo in guerra, le minacce di distruzione di altri popoli – perché no, anche con gli ordigni nucleari – pressoché all’ordine del giorno. Possibile? Meglio fermarsi e guardare la scena con gli occhi di chi a quella catastrofe sopravvisse. Un Hibakusha d’eccezione.
Masao Tomonaga, una vita dedicata agli effetti della Bomba

Masao Tomonaga non aveva ancora due anni quando la sua città, Nagasaki, fu ridotta in macerie dalla seconda bomba atomica, Fat Man. A salvargli la vita fu sua madre, che scorto il pericolo fece in tempo a scappare col bimbetto in braccio e balzare su un treno verso la casa dei genitori, appena una manciata di chilometri più in là. Edotto fin da piccolo sul pericolo cui era scampato, Tomonaga scelse la carriera medica e scientifica, sino a diventare uno dei massimi esperti sull’impatto delle radiazioni nucleari sul corpo umano. 82 anni, oggi formalmente è in pensione, ma non smette di girare il mondo per raccontare cosa furono Hiroshima e Nagasaki, testimoniare sulle conseguenze, incontrare leader politici e religiosi, rispondere alle domande dei ragazzi di mezzo pianeta. In un pomeriggio d’inizio agosto di ordinaria follia politico-militare, anche a quelle di Open. Tomonaga è appena rientrato a Nagasaki da un viaggio negli Usa per partecipare a una conferenza internazionale sul disarmo nucleare. Ad altra analoga iniziativa parteciperà a settembre, a margine dell’Assemblea generale dell’Onu, non prima di un aver fatto tappa in Italia, a Rimini, dove a fine agosto sarà ospite d’onore del Meeting di Rimini. C’è troppo da fare, e da dire.
Le ricerche e la battaglia per il disarmo
«I bombardamenti nucleari hanno segnato tutta la mia vita, certo», racconta Tomonaga a Open, ricordando come a spingerlo a scegliere gli studi medici, a 18 anni, fu l’introspezione sul suo corpo: la paura che non lo faceva dormire la notte di soffrire di leucemia. Non era così, Tomomaga poté dedicarsi però alle sofferenze degli altri Hibakusha, grazie agli studi all’Istituto sulla Bomba Atomica di Nagasaki di cui sarebbe infine diventato direttore. «Le tre conseguenze mediche principali attestate e di lungo termine – ci spiega condensando in poche parole le sue decine di studi sulla materia – sono state la leucemia, varie tipologie di cancro e la sindrome mielodisplasica. Malattie terribili che possono portare alla morte. Quei bombardamenti hanno sconvolto le persone colpite anche indirettamente lungo tutto l’arco della loro vita». Centinaia di migliaia di persone. Sconvolgente, ma il mondo ne è consapevole? Ne è consapevole, in primis, il Paese che quella catastrofe l’ha prodotta? «Sono appena tornato dagli Usa, dove insieme ad altri 10 sopravvissuti abbiamo incontrato e avuto dialoghi intensi con centinaia di ragazzi in diverse città del Paese. Posso rispondere così: la maggior parte dei giovani americani riconosce chiaramente che le bombe nucleari sono armi disumane, che nel lungo termine devono essere sradicate. Al contempo pensano che la deterrenza nucleare sia necessaria per evitare guerre ad esempio con Cina e Russia, e ammettono di non sapere come uscire dal circolo vizioso». Ed esattamente lo stesso mix di considerazioni Tomonaga dice di aver riscontrato tra i ragazzi in Regno Unito, «e penso che lo stesso valga per la Francia e Israele, India e Pakistan, la Cina e la Russia sino alla Corea del Nord». Ossia i nove Paesi al mondo che si stima siano in possesso di testate nucleari.
La scommessa persa di Barack Obama

È il dilemma del prigioniero per eccellenza, quello che aveva ben presente Barack Obama. È stato lui l’unico leader mondiale di questo secolo, certamente l’unico presidente Usa, a tentare d’intraprendere la missione del disarmo nucleare. «Oggi qui annuncio chiaramente e con convinzione l’impegno dell’America a ricercare la pace e la sicurezza di un mondo senza armi nucleari», scandì il leader democratico di fronte a una folla entusiasta radunatasi per ascoltarlo a Praga. Era l’aprile del 2009, l’inizio dell’era Obama. A introdurre il suo discorso in piazza Hradcany fu proprio il dottor Tomonaga. Sette anni dopo, l’esperto/sopravvissuto avrebbe visto coi suoi occhi quella promessa infrangersi: nell’aprile del 2016, ormai al tramonto della sua presidenza, l’ex enfant prodige di Harvard dovette ammettere di aver perso la scommessa. «Obama parlò al popolo giapponese e spiegò che per raggiungere l’obiettivo storico di sradicare le armi nucleari sarebbe servita una rivoluzione etica. Ammise che ciò non era accaduto a causa della carenza di potere etico, tra i leader mondiali così come tra i cittadini», ricorda Tomonaga.
La guerra mondiale a pezzi e il ritorno del nucleare
Sappiamo cos’è venuto dopo: la pandemia e il ritorno della paura; l’ascesa di leader populisti e nazionalisti ai quattro angoli del pianeta. L’aggressione a bruciapelo dell’Ucraina da parte della Russia, poi l’eccidio di Hamas in Israele e la guerra atroce di Gaza, con annessi crimini di guerra, sino al bombardamento preventivo americano-israeliano sull’Iran proprio per scongiurare la produzione di nuove armi atomiche. Quelle che, nello stesso giorno in cui discorriamo con Tomonaga, il Cremlino annuncia ufficialmente di non tenere più sotto controllo nell’ambito della moratoria sui missili nucleari a corto e medio raggio. E mentre in Europa Francia e Regno Unito ridisegnano le loro dottrine nucleari per prepararsi a stendere il loro «ombrello nucleare» sul Vecchio Continente minacciato, in Asia la Cina si è impegnata ad aumentare le testate nucleari nel suo arsenale da 300 a 500, e a tendere sino a 1.000. Tradotto, spiega Tomonaga, «di qui a 5 o al massimo 10 anni sarà la terza superpotenza nucleare al fianco di Russia e Stati Uniti». Un riarmo tanto inquietante che oggi perfino in Giappone c’è chi predica la necessità di avere testate atomiche per l’autodifesa. Incredibile ma vero, scuote la testa amaro Tomonaga. Ottant’anni dopo, dunque, ogni speranza è perduta?

I leader di oggi e quelli di domani
L’anziano prof giapponese non si lascia andare allo sconforto. Se con Obama Tomonaga ha avuto strette interlocuzioni, ciò non significa che consideri una causa persa la scommessa sull’attuale presidente Usa: «Al fondo credo Trump pensi che le guerre non vadano combattute, che le cose vadano risolte pacificamente. Quindi chissà, magari un giorno potrebbe anche dire che gli Usa saranno i primi ad abbandonare armi nucleari». Fosse per lui, Tomonaga non avrebbe remore a chiudersi in una stanza domani stesso con Donald Trump, Vladimir Putin e Xi Jinping, i leader delle tre super-potenze nucleari del secolo. Cosa gli direbbe? «Li renderei edotti sui risultati di 80 anni di ricerche che dimostrano che le armi nucleare sono disumane. E credo che capirebbero». Resta il fatto, comunque, che la ricetta più promettente per liberare il mondo dall’incubo vissuto a Hiroshima e Nagasaki stia non nei palazzi del potere, ma nelle scuole e nelle strade: «Dobbiamo educare i giovani sempre di più alla pace e sui danni delle armi nucleari, così che un giorno siano queste generazioni ad assumersi la responsabilità della gestione degli Stati che possiedono quelle armi, e le sradichino. È questo il nostro piano d’azione».