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Giuseppe De Donno e la vera storia dei «NAS in corsia» per il plasma iperimmune

06 Agosto 2025 - 12:27 David Puente
La narrazione venne smentita dallo stesso direttore della Pneumologia del Poma di Mantova

Circola l’immagine di un’intervista rilasciata da Giuseppe De Donno, datata 2020, in cui viene “denunciato” un presunto intervento dei Carabinieri, nello specifico del Nucleo Antisofisticazioni e Sanità (NAS), presso la struttura dove l’allora direttore della Pneumologia del Poma di Mantova stava sperimentando una cura contro la Covid-19 basata sul plasma iperimmune. Questa narrazione lascia intendere che, all’epoca, qualcuno volesse bloccare la sperimentazione, ma la vicenda non trova alcun fondamento. A smentirla fu lo stesso De Donno.

Per chi ha fretta

  • Nei giorni precedenti all’intervista, sia l’ospedale che De Donno avevano fornito una versione diversa dei fatti.
  • Nessun agente del NAS è mai entrato nella struttura ospedaliera.
  • Si trattò soltanto di una telefonata per richiedere informazioni sulla sperimentazione.
  • Lo stesso De Donno prese le distanze dalla pubblicazione de La Verità.
  • Una successiva smentita arrivò anche da parte dell’ospedale.

Analisi

La foto dell’articolo è stata condivisa da Mariano Amici per promuovere un suo intervento pubblico a Torino:

CONTINUIAMO A FAR MATURARE LE COSCIENZE.
Oggi, Domenica 27-7-2025, interverrò a Torino, piazza Castello, per ricordare il collega Giuseppe De Donno, perseguitato e poi martirizzato per aver agito secondo scienza e coscienza nella cura dei malati di Covid.

Cosa dice l’intervista

Nella giornata del 5 maggio 2020, La Verità pubblica un’intervista a De Donno dove leggiamo:

Il direttore della pneumologia del Poma di Mantova: «Decessi azzerati, 48 malati guariti da una cura che costa nulla. Eppure mi ritrovo i NAS in corsia e vengo offeso da Burioni, che preferirebbe un farmaco sintetizzato».

Ecco il passaggio sui Carabinieri:

L’ha chiamata l’istituto superiore di sanità per avere informazioni?

«No. In compenso sono arrivati i NAS in ospedale»

A cercare cosa? Mandati da qualcuno?

«Non lo so e non cerco polemiche, ma le cose non avvengono a caso. I NAS fanno il loro dovere. La mia direzione mi ha detto di stare tranquillo. Vedremo quello che succede. Qualcuno, alla fine, dovrà spiegare ai familiari degli ammalati e al Paese cosa sta succedendo. Proibire l’uso del plasma è gravissimo. La comunità scientifica dovrà rispondere ai cittadini di questo»

Cosa non torna nella narrazione dei “NAS in corsia”

Questa narrazione circolava già da prima dell’intervista, ma con una versione completamente diversa. Due giorni prima, il 3 maggio 2020, un articolo della Gazzetta di Mantova riportava una dichiarazione del direttore generale Raffaello Stradoni in merito all’interessamento del NAS:

Non so perché i NAS abbiano chiamato ma sono totalmente tranquillo. Il protocollo sulla sperimentazione è rigido e consente il trattamento solo su alcuni pazienti che devono avere certi criteri. So che la gestante in questione non rispondeva a queste caratteristiche, ma era molto grave e rischiavamo di perderla, per cui abbiamo somministrato la cura off-label, in ambito compassionevole e l’abbiamo salvata. Non mi risulta comunque che i carabinieri del NAS abbiano sequestrato le cartelle cliniche, hanno solo fato una telefonata.

A rendere la narrazione ancora più traballante ci pensa lo stesso De Donno, con una dichiarazione rilasciata il 3 maggio 2020 e riportata in un articolo della Gazzetta di Mantova:

Altri hanno invece letto quella frase come una sorta di preoccupazione dopo l’interessamento dei NAS sulla vicenda della donna incinta guarita dopo le infusioni di plasma iperimmune. «No – precisa lo stesso De Donno – non sono affatto preoccupato. I NAS hanno fatto una semplice telefonata in ospedale per raccogliere sommarie informazioni su quello che stavamo facendo. Dopo quella telefonata non ho più sentito nulla e sono già trascorsi alcuni giorni.

Ulteriore conferma di questa versione dei fatti arriva dallo stesso De Donno, intervistato in radio il 4 maggio 2020.

La risposta di De Donno all’intervista

La sera tra il 4 e il 5 maggio 2020 (il servizio è stato rimosso, ma circola ancora sui social), durante un intervento a Porta a Porta, De Donno risponde alle domande del conduttore Bruno Vespa sulla presunta storia della sperimentazione bloccata dai NAS. Di fatto, prende le distanze dall’articolo de La Verità e smentisce quella narrazione:

Bruno Vespa: «Come ha detto lei stamattina in una intervista alla Verità, vediamola, praticamente “invece di dirmi grazie mi hanno mandato i NAS”. E quindi, se ho capito bene, le avrebbero bloccato la sperimentazione. È così?»

De Donno: «No, non è così. Ovviamente, l’articolo della Verità ha un titolo sensazionale, che fa sensazione. I NAS, giustamente, fanno il loro lavoro. Di fronte a un protocollo così importante, (1:06) hanno deciso di capire se quello che noi stavamo facendo era corretto. Hanno chiesto solamente dei chiarimenti. Io sono figlio di carabiniere, orgogliosamente orfano di un carabiniere caduto in servizio e, di conseguenza, capisco anche che i NAS facciano il loro lavoro. Quello che i NAS volevano capire era, numero uno, io ho arruolato in questo protocollo una donna alla ventiquattresima settimana di gravidanza. Non esiste caso in letteratura trattato col plasma iperimmune di donna alla ventiquattresima settimana affetta da coronavirus. Quindi la richiesta del chiarimento era legata al fatto che volevano capire se la donna avesse i requisiti. Ovviamente i requisiti c’erano e, di conseguenza, tutto è andato bene. Il secondo quesito era capire se il numero di pazienti che noi avevamo arruolato era corrispondente a quello previsto dal protocollo. Io, siccome sono un ossessivo compulsivo per natura, ho rispettato il protocollo in modo ossessivo compulsivo e, di conseguenza, anche i NAS, devo dire la verità, hanno capito questo. Non è vero che i NAS sono venuti in reparto».

La smentita dell’ospedale

Anche l’ASST di Mantova era intervenuta per smentire il tutto con un comunicato pubblicato lo stesso giorno dell’articolo de La Verità:

Riguardo ad altri temi emersi negli ultimi giorni, si precisa che all’ASST di Mantova sono state semplicemente richieste informazioni generiche sulla natura della sperimentazione, proprio a seguito delle notizie riportate dalla stampa. Non c’è stato però alcun accesso alla struttura da parte dei NAS.

Conclusioni

Da parte del Nucleo Antisofisticazioni e Sanità non c’è stata alcuna perquisizione né richiesta di materiale o cartelle cliniche, ma solo una telefonata per ottenere informazioni su un caso specifico, non sulla sperimentazione della cura. Si ricorda, inoltre, che quest’ultima non riguardava solo Mantova, ma anche l’ospedale di Pavia (vero centro della ricerca) e altri centri italiani. Se l’intento fosse stato quello di “colpire la ricerca”, il NAS sarebbe intervenuto in tutte le strutture coinvolte, cosa che non è mai accaduta.

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