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L’Italia e altri 20 Paesi contro Israele sugli insediamenti in Cisgiordania. Meloni: «Così pace impossibile». Netanyahu: «Prenderemo Gaza»

21 Agosto 2025 - 17:17 Ugo Milano
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La dura nota della premier dopo l'iniziativa coordinata. L'Idf avrebbe già preso il controllo di alcuni quartieri alla periferia di Gaza City

«L’Italia segue con profonda preoccupazione gli sviluppi recenti relativi alle decisioni assunte dal governo israeliano». Poche ore dopo l’inizio della nuova operazione militare nella Striscia di Gaza, che ha l’obiettivo di occuparla integralmente, la premier italiana Giorgia Meloni ha condannato la decisione presa dal gabinetto del primo ministro Benjamin Netanyahu. Non solo le mosse militari, però, mettono in allarme Palazzo Chigi. In una dichiarazione ufficiale, la leader di Fratelli d’Italia ha preso infatti una posizione fortemente contraria all’autorizzazione di nuovi insediamenti in Cisgiordania, lungo il cosiddetto «corridoio E1». Con l’Italia anche altri 20 Paesi, tra cui Francia, Gran Bretagna e Canada, hanno firmato una dichiarazione congiunta in cui definiscono la mossa una «violazione del diritto internazionale»: «Condanniamo questa decisione e ne chiediamo l’immediata revoca con la massima fermezza».

La preoccupazione di Giorgia Meloni: «Escalation militare aggraverà situazione umanitaria a Gaza»

Nella sua dichiarazione ufficiale, la premier ha reiterato «con fermezza l’impegno a favore della pace, della sicurezza e del rispetto del diritto internazionale». La decisione di procedere all’occupazione dell’enclave palestinese sarebbe «un’ulteriore escalation militare che non potrà che aggravare la già drammatica situazione umanitaria». Per Chigi, si starebbe dunque andando in direzione opposta rispetto a quella auspicata, anche perché la costruzione i nuovi insediamenti in Cisgiordania «rischia di compromettere definitivamente la soluzione dei due Stati». Roma, al contrario, auspica «un impegno collettivo per giungere a un cessate il fuoco e al rilascio degli ostaggi, rafforzando lo sforzo internazionale per assicurare l’assistenza umanitaria che è urgentemente necessaria alla popolazione civile della Striscia».

Netanyahu non arretra: «Vogliamo liberare Gaza da Hamas, siamo vicini a riuscirci»

Le parole della premier italiana seguono a stretto giro quelle di Bibi Netanyahu, che in un’intervista a Sky News Australia ha insistito sulla volontà di occupare l’intera Striscia di Gaza. «Lo faremo comunque», ha detto, ribadendo la volontà di mantenere il controllo dell’enclave anche nel caso in cui Hamas accetti l’ultima proposta di tregua. «Non c’è mai stato dubbio che non lasceremo Hamas lì, il nostro obiettivo non è occupare Gaza ma liberarla dalla loro tirannia. Penso che siamo vicini a riuscirci». Ha poi aggiunto: «Questa guerra potrebbe però finire oggi se Hamas depone le armi e libera i restanti 50 ostaggi».

La nuova operazione, l’Idf: «Controlliamo già le periferie di Gaza City»

Nella notte è scattata l’operazione terrestre israeliana su Gaza City. Il generale di brigata Effie Defrin, portavoce delle Forze di difesa israeliane (Idf), ha confermato che l’esercito ha dato il via alla prima fase dell’invasione. «Le nostre forze controllano già la periferia» della città, ha dichiarato in un comunicato ripreso dai media internazionali. Poche ore dopo l’approvazione del piano di conquista governativo, l’Idf ha annunciato di aver preso posizione nei quartieri esterni di Gaza City. Defrin ha precisato che «stiamo lavorando per far evacuare i civili in sicurezza e per fornire aiuti e cure mediche».

Il colpo mortale alla soluzione dei due Stati

Ma è in Cisgiordania che da ieri 20 agosto è evidente quanto le speranze di pace abbiano subito il colpo più pesante. Israele ha dato il via libera definitivo al progetto che trasforma il contestato «corridoio E1» in una morsa che strangola la continuità territoriale palestinese. L’acronimo burocratico «E1» nasconde un piano strategico, fermo da almeno un decennio e sbloccato con l’arrivo di Donald Trump, che collega l’area metropolitana di Gerusalemme all’insediamento ebraico di Maale Adumim, tagliando di fatto in due la Cisgiordania e impedendo a Ramallah e Betlemme di «respirare».

Il falco Smotrich e «l’ultimo chiodo sulla bara» dello Stato palestinese

Dietro questa mossa c’è la mano di Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze e leader dell’ultradestra messianica che, per accordi di coalizione, ha voce in capitolo al dicastero della Difesa. «Lo Stato palestinese viene cancellato dal tavolo non con slogan ma con i fatti», ha esultato il capo del movimento dei coloni. La dichiarazione di Smotrich è di fatto una sfida diretta all’iniziativa internazionale guidata dalla Francia per il riconoscimento dello Stato palestinese all’Assemblea generale Onu del prossimo mese. «Ogni insediamento, ogni quartiere, ogni unità abitativa è un altro chiodo nella bara di questa pericolosa idea», ha rincarato il ministro.

Che cos’è il corridoio E1

Il corridoio E1 (East1) è un’area di circa 12 chilometri quadrati situata a est di Gerusalemme, disegnata negli anni ’90 come un cuneo strategico nel cuore della Cisgiordania. Questo lembo di territorio collega Gerusalemme Est all’insediamento di Maale Adumim, ai bordi del deserto della Giudea, spezzando di fatto la continuità territoriale palestinese. La zona divide la regione di Ramallah da quella di Betlemme, impedendo la creazione di quella vasta area metropolitana che dovrebbe diventare il cuore pulsante di un futuro Stato palestinese. È una mossa che trasforma la geografia in un’arma politica.

Il progetto delle 3.400 case per i coloni

Nelle intenzioni del governo israeliano, su quest’area dovranno sorgere 3.401 unità abitative per i coloni, a cui si aggiungono altre 342 case nel nuovo insediamento legalizzato nel febbraio 2023. Un piano che porterebbe decine di migliaia di nuovi residenti israeliani a unirsi ai circa 40mila abitanti che già vivono a Maale Adumim. Oggi in quella zona vivono una decina di comunità beduine, la principale nel villaggio di Khan al-Ahmar. Col provvedimento approvato dal governo israeliano, contro cui può essere fatto ricorso in tribunale, lo Stato ebraico potrà concedere i permessi edilizi e indire le gare di appalto per le infrastrutture.

Dal congelamento del 2012 al via libera di oggi

Il progetto E1 era stato congelato nel 2012 per le forti pressioni sul secondo governo Netanyahu da parte della comunità internazionale, compresi Stati Uniti ed Europa. Il piano veniva considerato una vera minaccia al processo di pace che si stava tentando di far progredire. Ora a ripresentare l’operazione sono stati proprio i falchi dell’attuale governo Netanyahu, in un momento in cui l’amministrazione Trump offre copertura politica a Israele, definendo il premier israeliano «un eroe di guerra».

Cosa sono gli insediamenti e perché sono illegali

Gli insediamenti sono comunità abitate da cittadini israeliani nei territori palestinesi occupati illegalmente a partire dalla guerra dei Sei Giorni del 1967. Sono presenti nella Cisgiordania occupata (inquadrata nell’area amministrativa Giudea e Samaria), in gran parte sotto amministrazione civile israeliana, e nelle alture del Golan. La costruzione di insediamenti israeliani è considerata illegale dalla comunità internazionale e dall’ordinamento internazionale perché insiste sui territori occupati.

La battaglia delle associazioni pacifiste

Tre associazioni, Peace Now, Ir Amin e l’Association for Environmental Justice, si battono da anni contro il piano E1. Come ricorda Repubblica, il piano coinvolge e stravolge l’unico pezzo di terreno rimasto libero ed edificabile tra i centri di Ramallah, Gerusalemme Est e Betlemme, casa di un milione di palestinesi. «È uno dei progetti più pericolosi, un sabotaggio esplicito della soluzione politica al conflitto, condannerà israeliani e palestinesi allo scontro perenne», dichiarano gli attivisti di Peace Now. Le nuove costruzioni aumenteranno del 33 per cento il patrimonio immobiliare di Maale Adumim.

Le strade separate per palestinesi e israeliani

L’E1 è anche una questione di viabilità. A marzo il Gabinetto di sicurezza ha approvato l’apertura di una strada riservata al transito dei palestinesi che collegherà i villaggi arabi a nord dell’E1 con il resto della Cisgiordania meridionale. Si devia così il traffico palestinese dalla Route 1, l’arteria principale che nel tratto tra Gerusalemme e Maale Adumim finirà per essere percorsa solo dai cittadini israeliani. Nascono così quelle che, scrive Repubblica, gli attivisti hanno già ribattezzato “strade dell’apartheid”, con passaggi sotterranei di prossima costruzione che cementeranno la separazione.

La reazione internazionale

I lavori per le infrastrutture del nuovo quartiere potrebbero partire nei prossimi mesi, mentre per le abitazioni servirà circa un anno. «La decisione israeliana di procedere con nuovi insediamenti in Cisgiordania è inaccettabile – aveva scritto su X il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, contraria al diritto internazionale e rischia infatti di compromettere definitivamente la soluzione a due Stati, obiettivo per il quale il Governo italiano sta continuando a lavorare con convinzione e il massimo impegno». «Conficcherà un paletto nel cuore della soluzione dei due Stati», ha dichiarato il portavoce Onu Stephane Dujarric. Per l’Autorità Nazionale Palestinese, «la Cisgiordania sarà trasformata in una vera e propria prigione». Il ministro degli Esteri britannico David Lammy ha denunciato su X la «flagrante violazione del diritto internazionale», mentre un portavoce del governo tedesco ha espresso analoga condanna.

Macron: «Disastro per entrambi i popoli»

Emmanuel Macron, riferendosi all’operazione militare su Gaza City, aveva parlato di sviluppi che «non possono che portare a un vero e proprio disastro per i due popoli e trascinare la regione in una guerra permanente». Parole che oggi suonano profetiche. Per la Francia, una soluzione politica che soddisfi le aspirazioni di entrambi i popoli resta «l’unico percorso credibile per le famiglie degli ostaggi, per gli israeliani e per i palestinesi».

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