Jannik Sinner, la verità privata sullo stress e la reazione alle sconfitte: «Pensavo di essere forte, ma non lo ero». Il trucco per rilassarsi


L’antidoto di Jannik Sinner alla pressione a cui è sottoposto un campione del suo calibro sta tutto in un gioco che molto racconta del 24enne altoatesino che non si sente numero uno. Al Corriere della Sera, il tennista azzurro racconta com’è nata la sua passione per i mattoncini: «Mi sono appassionato ai Lego, moltissimo. Di sera, per esempio, costruisco con i Lego», confessa il numero uno del tennis mondiale durante un’intervista a New York, dove si trova in vista degli Us Open. Una Porsche completata in cinque ore, poi la ricerca di modelli sempre più complessi. «Metto su la musica e penso ad altro. Quando sei un tennista o un atleta, hai così tanti pensieri nella testa, e anche pressioni. Tutto il tempo».
Il disagio del numero uno e la precarietà del futuro
Quando gli viene chiesto se pensa mai di essere un numero 1, Sinner quasi sembra a disagio se pensa poi a come è cresciuto e agli insegnamenti che ha ricevuto: «Non ci penso, perché credo che sono sempre stato una persona umile e non mi piace dire “sono il numero uno al mondo”». Per lui è solo una questione di tennis: «Credo che si diventa numero uno non solo in campo da tennis ma per come gestisci le cose fuori dal campo, come ti comporti». Essere primi oggi non garantisce nulla in futuro e lui stesso ammette: «Non è neanche detto che io e Carlos (Alcaraz) siamo quelli lì, adesso è quasi due anni che stiamo giocando i Grandi Slam, ma le cose possono cambiare».
Le polemiche sull’italianità
Quando si tocca il tema delle critiche ricevute, specialmente per l’assenza alle Olimpiadi per rappresentare l’Italia, Sinner non si scompone: «Non ho mai risposto e non voglio neanche rispondere». Una strategia del silenzio che adotta sistematicamente di fronte alle polemiche sulla sua italianità o sulle sue scelte sportive. A casa si parlava in dialetto tedesco sudtirolese, «un po’ simile all’austriaco». L’addio alla famiglia a 13 anni per inseguire il sogno tennistico non è stato semplice, ma Sinner ha trovato una seconda famiglia che lo ha ospitato: «Mi sentivo parte della famiglia e come un fratello maggiore». I ricordi dell’infanzia sono legati ai sapori della nonna: la Wienerschnitzel e i canederli del papà. Oggi, da atleta d’élite, può concederseli solo nei pochissimi giorni che trascorre in Alto Adige: «Circa dieci giorni all’anno. In quei giorni non ci sono restrizioni e me li godo appieno».
La resistenza psicologica e la reazione alle sconfitte
«Non è nulla di naturale, c’è tanto lavoro dietro», spiega quando si parla della sua resistenza psicologica. La capacità di risollevarsi dalla finale persa al Roland Garros per poi trionfare a Wimbledon ovviamente non è stata casuale: «Prima devi accettare i tuoi difetti e io all’inizio ho fatto fatica, perché pensavo di essere forte, e invece non lo ero». Il lavoro con lo psicologo Riccardo Ceccarelli prosegue da anni. I difetti su cui hanno lavorato? «Non essere paziente, voler fare subito tutto in uno. E invece non è questa la soluzione: devi sempre lavorare da un dettaglio all’altro e poi mettere pian piano insieme tutti i pezzi del puzzle». E torna la passione per i Lego, utili anche per alzare un bel muro quando a Sinner viene chiesto un aggiornamento più privato: «È innamorato?», gli chiede Viviana Mazza. Lui netto non rompe la tradizione sul tema: «Sì, ma della vita privata non parliamo».