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Bjorn Borg, il cancro alla prostata e la fuga dal tennis: «Così Loredana Bertè mi ha salvato»

18 Settembre 2025 - 06:02 Alba Romano
bjorn borg loredana bertè
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L'ex campione di tennis: un dottore mi ha chiesto se volevo vivere ancora

«Il medico mi ha chiesto quanto volessi vivere. Gli ho risposto: per sempre non si può, ma qualche anno ancora sì. E lui: allora deve operarsi al più presto. E così sono andato dritto in ospedale. Ora faccio controlli ogni sei mesi». Bjorn Borg racconta oggi in un’intervista a Repubblica la sua malattia: «Un cancro alla prostata molto aggressivo. Invito tutti gli uomini a fare prevenzione perché è un tumore silenzioso. Il medico mi ha chiesto quanto volessi vivere. Gli ho risposto: per sempre non si può, ma qualche anno ancora sì. E lui: allora deve operarsi al più presto. E così sono andato dritto in ospedale. Ora faccio controlli ogni sei mesi».

La vita e la carriera

Borg oggi ha 69 anni. Ad appena 26 si è ritirato dal mondo del tennis. Dopo aver vinto 11 slam, di cui sei Roland Garros e cinque Wimbledon consecutivi. Ha scritto un’autobiografia per Rizzoli: Battiti. Lo ha aiutato la moglie Patricia: «È la mia migliore amica, sa tutto di me, non avevo imbarazzi. Per fare i conti con me stesso era quella giusta, anche se correvo il rischio che divorziassimo. Ci siamo sposati nel 2002, l’anno dopo è nato nostro figlio Leo, nel 2016 a Las Vegas abbiamo rinnovato le promesse. Per la cerimonia ho scelto un sosia di Elvis, quello vero lo avevo visto in concerto nel ’73 alle Hawaii. Era stato la colonna sonora della mia gioventù».

Un matto calmo

Secondo Adriano Panatta lui è un matto calmo: «Non sono così calmo, ma è vero che sono un po’ folle, non ho mezze misure. Per me il grigio non esiste, o bianco o nero. In campo era organizzato e programmavo, fuori invece no. Sono Gemelli, ci sono due Borg, opposti e conflittuali. E poi sono superstizioso, credo in altri tipi di presenze e di influenze e nella medicina alternativa, tanto che a Londra mi feci seguire da un guru, un guaritore, noto come Tia Honsai. Sembrerà strano, ma per tre anni mi sono affidato a una medium».

Le rivelazione

La medium gli ha detto «che le stelle non erano a mio favore. Per questo l’Us Open per me era maledetto, quattro finali, nessun successo. Nessuna previsione sbagliata: il matrimonio con Mariana sarebbe andato male, la mia impresa commerciale sarebbe fallita, avrei avuto figli. Ero scaramantico, non mi tagliavo la barba fino alla fine del torneo, dovevo avere in campo sempre la stessa sedia, i miei mi seguivano ad anni alterni, a Parigi negli anni pari e a Londra in quelli dispari. A Los Angeles sono di nuovo ricorso a una medium perché ero convinto che Alstaholm, la nostra casa di famiglia a Värmdö, fosse piena di energie negative. Lei confermò, ma quando pretese di allontanare gli spiriti maligni al telefono ringraziai e me ne andai».

Una fuga

Racconta che il suo non fu un ritiro, ma una fuga: «Non ne potevo più. Persi da McEnroe, andai a fare la doccia, disertai la premiazione, e con i capelli ancora bagnati mi diressi con mia moglie e con Bergelin a Sands Point, Long Island, dove avevo casa. Era piena di ospiti, avevano programmato una festa, mi davano tutti per favorito, quando arrivai calò un velo di delusione, ma il più avvilito ero io, non salutai nessuno, attraversai il giardino». E ancora: «Leave me alone, urlai a chi mi voleva seguire. Volevo stare solo, ubriacarmi, non provavo più gioia in campo, ma fuori non ero nessuno. Tutti volevano qualcosa da me e io mi chiedevo: è davvero così che devo passare ogni giorno della mia vita? Rientrai in casa dopo ore, salutai, sapevo recitare la parte. Ma era finita e l’avevo deciso in quella piscina».

L’alcol e la droga

Racconta della sua esperienza allo Studio 54: «Tutti quelli che lo frequentavano avevano qualcosa di unico. Lì ho conosciuto Andy Warhol che mi ha regalato con dedica una sua Campbell’s Soup e nell’82 ho provato la polvere bianca. Poi ho aggiunto alcol e medicinali. E giù cocktail. Lì è iniziata la mia caduta: mi trascinavo nei night, mi stordivo con feste e festini, perché tornare a casa? Ero depresso, avevo attacchi di panico, divorziai, mi misi con Jannike Björling, nacque Robin, ma non ero un padre all’altezza. E soprattutto avevo paura di stare solo, sovrapponevo le relazioni, se non avevo compagnia me la procuravo. Conobbi Loredana Bertè a Ibiza, mi trasferii a Milano, ma per me che lottavo contro droghe e farmaci quella città fu un disastro. Però non è vero che nell’89 il mio fu un tentativo di suicidio. Ero solo sfinito, stanco di vivere in quel modo, era un grido d’aiuto. Ho sempre avuto paura dei conflitti, preferisco fare un passo indietro».

Loredana Bertè

Si era impasticcato, lo salvò Loredana Bertè: «Sì, le devo la vita. Mi trovò a letto incosciente, chiamò l’autoambulanza, all’ospedale mi fecero una lavanda gastrica. Frequentavo persone sbagliate, accettavo passivamente tutto, ero in un groviglio. Loredana che era diventata mia moglie voleva un figlio, era comprensibile, aveva sei anni più di me, arrivai a depositare un campione di sperma per l’inseminazione. Ma per salvarmi dovevo fuggire da lei e da quell’ambiente. Mi trasferii a Londra e ripresi ad allenarmi. Quando mi sono risposato lei mi ha denunciato per bigamia e la sua accusa mi ha impedito di tornare in Italia. E comunque a Milano non ci ho voluto più mettere piede».

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