Il coming out di Jankto: «Tanti calciatori gay ma hanno paura del giudizio degli altri»


Jakub «Kuba» Jankto ha lasciato il calcio a 29 anni. Prima però ha raccontato al mondo di essere gay mentre era ancora in attività. Oggi cura i suoi investimenti immobiliari e allena 80 ragazzi nel Dukla e nel Cafc Praga, un’accademia dello Slavia. Ha un figlio di 6 anni e già lo allena nel Dukla. E pensa ai problemi che potrebbe avere per il coming out del padre: «Può succedere, gli idioti ci sono sempre. Con i piedi non è come il padre, ma io alla sua età non ero così intelligente come lui, mi creda. Ho smesso anche per essergli a fianco nella sua crescita», dice oggi al Corriere della Sera.
L’ex compagna
Quando ha rivelato la sua omosessualità «il primo mese è stato difficile, perché non sapevo come avrebbero reagito le persone. Ma dopo un paio di settimane ho visto che tutti mi hanno dato una mano, anche perché il mio comportamento era positivo: se mi fossi comportato male, magari sarebbe stato diverso. A Praga mi fermano un sacco di tifosi italiani e sono sempre contenti di vedermi». Ha smesso per un infortunio alla caviglia: «Mi sono fatto male contro il Genoa, il primo anno con Ranieri. Poi le ho tentate tutte per stare meglio: mi sentivo anche pronto a giocare con il dolore, ma mister Nicola non mi ha fatto entrare in campo neanche un minuto e allora ho pensato che non valeva la pena andare avanti con questa lesione di terzo grado ai legamenti della caviglia sinistra, che non si può operare. Anche quando alleno i bambini o semplicemente cammino, mi fa male».
Il coming out
I tre anni successivi al coming out sono diventati belli «perché non dovevo nascondere niente, potevo andare con il mio partner ovunque. Prima non potevo vivere come volevo, non mi sentivo me stesso. E poi erano cominciate a girare le voci, che forse ero gay, e in quel momento mi sono sentito troppo male: ho deciso che dovevo dirlo e ho registrato quel video che ha fatto il giro del mondo». In Italia ha detto di essere stato trattato «meglio di quello che pensavo. Gli scemi che ti insultano sui social ci sono sempre, ma la vita reale è un’altra cosa e quando tu ti comporti bene e rispetti il tuo lavoro, allora ricevi rispetto. E tutti mi hanno sempre voluto bene, anche ad Ascoli, Genova e Udine».
L’omofobia nel calcio
Secondo lui il mondo del calcio non è omofobo: «No, per la mia esperienza dico di no. Se c’è un problema è fuori, non dentro al calcio». Lei disse «spero che il mio gesto serva a dare coraggio anche ad altri calciatori». Ma così non è stato: «Evidentemente hanno paura del giudizio degli altri, ma ognuno fa le sue scelte. Ho provato a dimostrare ai calciatori che se fai coming out , non succede nulla. Mi sono arrivati tantissimi messaggi, che dicevano “vorrei fare come te, ma non riesco”». Da parte di altri calciatori «ma non solo. Anche da tifosi o da ragazzi qualsiasi».
Bernardeschi
Non si aspetta aiuti da parte di Uefa o Fifa, «ma se potrò fare qualcosa d’altro oltre all’esempio personale, sono a disposizione». Infine, su Bernardeschi che ha appena detto: «Mi hanno dato tante volte del gay, ma se lo fossi non avrei problemi a dirlo e la gente deve farsi i cavoli suoi»: «Mi è piaciuto quello che ha detto. Ma se fosse così facile dirlo, dopo di me qualcun altro lo avrebbe fatto».