Il referto ignorato di Pamela Genini: nel 2024 il codice rosso non scattò


Il 4 settembre 2024 Pamela Genini si presentò al pronto soccorso di Seriate con un dito rotto e diversi graffi agli arti. Disse di essere stata aggredita dal compagno, Gianluca Soncin, lo stesso uomo che un anno dopo l’avrebbe uccisa a Milano con oltre trenta coltellate, tre delle quali al cuore. Quel giorno, la giovane donna, 29 anni, ex modella, affrontò il questionario antiviolenza “Brief Risk Assessment”, previsto dalle linee guida sanitarie per i casi di sospetto maltrattamento. Le sue risposte segnalavano un pericolo elevato. Alla domanda «Crede che lui sia capace di ammazzarla?», Pamela rispose «Sì».
Il protocollo e Pamela Genini
E lo stesso fece ad altre tre delle cinque domande previste dal protocollo: la violenza era aumentata, lui era fortemente geloso e in passato aveva usato o minacciato con un’arma. L’unico «no» riguardava una domanda sulla gravidanza. Secondo le linee guida del Ministero della Salute, un risultato positivo in almeno tre risposte su cinque impone l’attivazione immediata del codice rosso, la procedura che prevede misure di protezione e il coinvolgimento diretto della magistratura. Ma per Pamela non fu attivato.
Il percorso in ospedale nel 2024
La visita di Pamela iniziò alle 10.33 del mattino. Al triage la registrarono con priorità 2: urgenza e la motivazione “abuso/maltrattamento/violenza di genere”. I sanitari, dopo aver raccolto il suo racconto, avviarono la procedura prevista. La giovane riferì un’aggressione avvenuta la sera prima, il 3 settembre, nella casa di Soncin a Cervia (Ravenna): «Mi ha buttata a terra, colpita alla testa con pugni, trascinata per i capelli e lanciato oggetti addosso», disse, come riportato dal Corriere della Sera.
Aggiunse che non era la prima volta. Negli ultimi mesi la violenza era diventata più frequente. Raccontò anche di una precedente violenza sessuale, non avvenuta in quell’occasione. Alle 14.08 compilò il test di rischio e, come da protocollo, allertarono le forze dell’ordine. Poco dopo, alle 14.39, un traumatologo la visitò: la prognosi era di 20 giorni. Poi, dopo un colloquio con i carabinieri di Seriate, nel verbale sanitario comparve una frase: «Non vi è indicazione ad attivazione del codice rosso».
La mancata protezione per i troppi passaggi burocratici
Da quel momento, la procedura si perde tra passaggi burocratici e competenze territoriali. I carabinieri di Seriate acquisiscono il referto e lo inoltrano ai colleghi di Cervia, poiché l’aggressione è avvenuta lì. Da Ravenna, i militari rispondono chiedendo di raccogliere la denuncia di Pamela, ma la giovane rifiuta di formalizzarla. L’episodio viene segnalato come “presunta violenza di genere” nel sistema informativo delle forze dell’ordine, ma non viene inserito nella piattaforma “Scudo”, lo strumento usato per monitorare i casi a rischio anche in assenza di denuncia. Nessun fascicolo viene inviato alle Procure di Bergamo o Ravenna, né viene avviata una segnalazione alle Questure per l’adozione di eventuali misure preventive. In sostanza, nonostante l’esito allarmante del test e la presenza dei carabinieri in ospedale, il meccanismo di protezione non si è mai attivato.