Donald Trump e i “giorni contati” di Maduro: il Venezuela, la Cia, i Marines e il rischio-Russia

Donald Trump «pensa» che Nicolas Maduro abbia i giorni contati a capo del Venezuela. Il presidente degli Stati Uniti risponde «ne dubito, non credo» alla domanda se gli Usa entreranno in guerra con il paese. Ma risponde «direi di sì» alla domanda sui giorni contati. E alla campagna di attacchi aerei di Washington alle imbarcazioni con lo sbarco dei Marines a Porto Rico ora si aggiunge l’attivismo della Cia nel «cortile di casa» dell’America del Sud. E l’elaborazione di piani segreti per rovesciare Maduro. L’accusa degli Usa al Venezuela è di essere un narco-stato complice dei cartelli internazionali della droga. Ma intanto si muove la Russia. Vladimir Putin ricorda che è legato a Caracas da un accordo di partenariato strategico. E c’è la tentazione di una nuova Cuba.
Donald Trump, il Venezuela e la Cia
L’intelligence americana ha contribuito alla fase di raid che hanno portato alla distruzione di battelli di contrabbandieri e ucciso 65 cittadini venezuelani. La Cia ha fornito foto satellitari e informazioni sui bersagli, ha raccolto dati sui trafficanti, ne ha tracciato i motoscafi e i sommergibili. Si parla anche di missioni all’interno dell’establishment politico-militare di Caracas. L’ Associated Press ha svelato un piano risalente al 2024 e rilanciato nella nuova fase che prevedeva il reclutamento del pilota di Nicolas Maduro, Bitner Villareal. Per convincerlo a dirottare l’aereo con il leader a bordo in un paese dove sarebbe stato possibile per gli Usa arrestarlo. Secondo il Venezuela gli Usa avevano anche preparato una provocazione.
L’attentato
Un’unità della Navy, il Gravely, doveva essere colpita da un’esplosione durante uno scalo a Trinidad e Tobago, un attentato da «attribuire» ai venezuelani. Una specie di passato che ritorna nelle attività clandestine degli Anni 60 e 70. L’Operazione Condor per il Cile, il disastro della Baia dei Porci e lo sbarco a Santo Domingo. Oltre ai tanti tentativi di eliminare Fidel Castro. Ma qual è l’accusa degli Usa al Venezuela? Il Corriere della Sera cita una fonte ben informata sulle rotte del narcotraffico internazionale. Il Venezuela è un «narco-Stato funzionale». Ovvero un paese in cui il governo controlla, facilita e trae profitto dal sistema del narcotraffico. Ma in modo peculiare.
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Il Venezuela, narco-Stato funzionale
Il Venezuela al contrario di Colombia, Perù e Bolivia non produce cocaina. Ma negli ultimi 15 anni diverse indagini della Drug Enforcement Administration (Dea) e del dipartimento di Giustizia Usa hanno documentato una penetrazione del narcotraffico nelle forze armate e nella politica venezuelana. Il Cartello dei Soli riesce così a proteggere i flussi di cocaina colombiana diretti verso l’Europa. Il regime di Maduro tollera il traffico come fonte alternativa di liquidità. Lo Stato usa la narco-economia per sopravvivere. Secondo un rapporto della Dea del 2020, circa il 74% della cocaina nel 2019 è passato dal Pacifico e non dal Mar dei Caraibi.
Le imbarcazioni e i piccoli aerei
Da lì partono imbarcazioni e piccoli aerei che trasportano cocaina verso la Florida. Mentre l’Ecuador è il principale hub di esportazione verso l’Europa. Il Venezuela non esporta Fentanyl. I Cartelli messicani restano i gestori dell’intera catena logistica del narcotraffico verso gli Usa. Il Venezuela ha un ruolo marginale, di transito e decollo.
La Russia
Ma c’è un altro problema che gli Usa dovranno fronteggiare in caso di tentativi di rovesciare il governo del Venezuela. Che oggi è per Mosca quello che Cuba era per l’Urss. Per questo il Cremlino è intenzionato a giocare la sua “nuova Cuba” per riequilibrare i rapporti di forza anche nei negoziati sull’Ucraina. «Monitoriamo attentamente ciò che accade. Vogliamo che tutto resti pacifico e che non sorgano nuovi conflitti nella regione», ha detto ieri il Cremlino. E sulle richieste di armi di Maduro: «Siamo effettivamente in contatto con i nostri amici venezuelani. I due paesi sono vincolati da diversi obblighi contrattuali».
Gli accordi bilaterali
Sono circa 350 gli accordi bilaterali tra Mosca e Caracas. La Russia è «uno dei principali partner tecnico-militari del Venezuela. Forniamo al Paese praticamente l’intera gamma di armi. I caccia russi Su-30Mk2 sono la spina dorsale dell’aeronautica venezuelana. La consegna di diversi battaglioni S-300vm ha rafforzato la capacità del Paese di proteggere le strutture critiche dai raid aerei. I sistemi russi Pantsir-S1 e Buk-M2E sono stati recentemente consegnati a Caracas da aerei da trasporto Il-76», ha detto Aleksej Zhuravliov, primo vicepresidente della Commissione Difesa della Duma.
Armare il Venezuela?
Sergej Kurginjan, politologo e leader del movimento nazionalista “Essenza del tempo”, intervistato da Radio Zvezda di proprietà del ministero della Difesa, ha spiegato: «La Russia siede su due sedie. Se decidessimo davvero di armare completamente l’esercito venezuelano – e il Venezuela ha soldi, quindi perché non dovremmo? -, allora in un paio d’anni potremmo equipaggiarlo abbastanza bene che neppure la superiorità aerea statunitense sarebbe garantita. Potremmo testare alcune cose. E sarebbe soltanto l’inizio».
Fermare gli Usa?
L’analista militare Rostislav Ishchenko ha detto invece che la Russia non sarebbe in grado di fermare gli Usa se attaccassero davvero il Venezuela. Potrebbe però «sostenere Caracas con denaro, armi e sostegno politico ed economico, e contribuire a rompere eventuali blocchi, a condizione che il regime di Maduro si dimostri sufficientemente stabile da offrire una vera resistenza». «Quando si tratta di strategia obliqua e guerra asimmetrica possiamo esser certi che i russi sanno come ottenere molto con molto poco. Non esiteranno a incoraggiare segretamente una politica di escalation per “inchiodare” gli Stati Uniti, con ripercussioni sull’Ucraina e sulle alleanze americane in Europa», conclude l’analista Jean-Sylvestre Mongrenier.
