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«Vi racconto mia figlia Emanuela, l’anoressia e quella volta che finse di avere un tumore»

07 Novembre 2025 - 07:20 Alba Romano
emanuela perinetti
emanuela perinetti
Giorgio Perinetti e il libro sulla figlia morta per anoressia

Emanuela Perinetti, 34 anni, manager di marketing sportivo, è morta il 29 novembre 2023 a Milano di anoressia. Il padre Giorgio, direttore tecnico del Palermo e già dirigente di Juventus, Roma e Napoli, la racconta oggi in un’intervista al Corriere della Sera. «Di notte, ancora mi chiedo dove ho sbagliato, dove non ho capito». Perinetti ha scritto con il giornalista Michele Pennetti per Cairo Editore il libro “Quello che non ho visto arrivare”. Racconta che si è accorto della malattia della figlia durante un Ferragosto: Io lavoravo ad Avellino, Emanuela era di passaggio a Napoli e pranzammo insieme a Mergellina. Era di una magrezza preoccupante, ma da tempo la giustificava dicendo di avere un cancro che curava con la radioterapia. Quel giorno, mi spiegò che il 22 agosto si sarebbe operata a Montecarlo».

La finta operazione di Emanuela

«Mi agitai, perché era invece previsto che si operasse a Milano a settembre e che ci fossi anch’io, ma lei si impuntò per farlo subito e da sola. Il 22, un amico mi mandò una foto da Montecarlo: Emanuela era a un evento col principe Alberto e Trezeguet, organizzato da lei. Lì, capii che qualcosa non tornava e iniziai a indagare», comincia Perinetti. E scopre «un castello di bugie. Parlai col suo personal trainer, la sua psicologa, gli amici. Capii che il tumore non esisteva: era una copertura per evitare che io e la sorella le dicessimo che non mangiava. La affrontai e mi trovai di fronte un muro. Diceva che tutto era sotto controllo e che dovevo lasciarla in pace. Dopo, mi è stato spiegato che negare la malattia e dire bugie è la prima difesa di chi è colpito dall’anoressia».

Chi era Emanuela Perinetti

Emanuela Perinetti era «Una giovane donna bella, elegante, caparbia che dopo la laurea era stata subito presa in Ernst & Young, e poi aveva seguito la sua vera passione: il calcio. Prima aveva fondato con Patricio Teubal una società. Poi si era messa in proprio, curava progetti per grandi marchi e atleti. Lavorava tantissimo, non conosceva vacanze, sempre in viaggio, era una stakanovista, più di me. Però, dopo la morte di mia moglie, nel 2015, aveva perso il suo punto di riferimento. Io cercavo di esserci, ma una madre con le figlie ha un legame più empatico, più continuo e io avevo sempre lavorato lontano da casa».

Il tumore e l’anoressia

Quando il padre le dice che sa che il tumore non esiste succede «che riesco a portarla al San Raffaele per una visita e le dicono che deve immediatamente ricoverarsi per un mese, ma lei si rifiuta. Dice: io ho da fare, siete pazzi. Purtroppo, per costringere un adulto capace di intendere e di volere al ricovero, serve il suo consenso. Io ero schiacciato fra la burocrazia e il senso di impotenza e non potevo neanche contare su mia moglie. È devastante sapere che tua figlia sta morendo e tu non puoi fare niente. Servirebbe una normativa diversa, che permetta ai genitori d’intervenire. Usciti dall’ospedale, abbiamo discusso, finché mi ha detto “mi curo, ma non qui”. Ha poi trovato un centro in zona Brera, l’Aba, ma era tardi».

La mania di camminare

Ma lei «volle venire a piedi. Ho poi scoperto che un altro segnale dell’anoressia è la mania di camminare per bruciare calorie. Arrivò stremata, senza forze, al punto che non riuscì a fare le scale, l’ho dovuta portare su a braccia: questa era la situazione a un mese dalla fine. Pochi giorni dopo, cadde in casa e non riuscì ad alzarsi. Per portarla in ospedale, il medico dell’ambulanza si dovette inventare che, cadendo, aveva battuto la testa e doveva fare una Tac. Lì, però, con me, con la sorella e gli amici vicini, Emanuela riprese lentamente a mangiare. Il fisico, però, era troppo minato. Fu un altro trauma: vedevo che voleva vivere, la guardavo strappare la bresaola a piccoli morsi, ma era troppo tardi. Una dottoressa mi chiese: “Ma lei è pronto? È preparato?”. E io: “Ma si può chiedere a un padre se è preparato a perdere la figlia?”».

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