Si fa scattare una foto con un cadavere, operaio di un cimitero va a processo: «Errore ingenuo»

Un sorriso a trentadue denti, con la mascherina abbassata sul mento e i guanti da lavoro ancora addosso. Come se per scattare quella foto, aspettata e cercata da tanto tempo, il lavoratore fosse riuscito finalmente a ricavarsi un minuto di orologio dagli impegni lavorativi. Il braccio è stretto intorno alla schiena e alle spalle dell’uomo alla sua destra, che indossa un completo elegante. La faccia, giallognola ed emaciata, non lascia però molto spazio a dubbi: è un cadavere.
La foto e il commento del sindaco: «Fatto antipatico, speravamo non se ne parlasse»
È accaduto a Uggiano La Chiesa, un piccolo paesino nell’entroterra salentino, lo scorso 13 giugno. Un operaio del cimitero, 57enne con qualche piccolo precedente ma «nessun deficit psichiatrico», è a processo per vilipendio di cadavere. Lo scatto, circolato su tutti i gruppi del paesino, sarebbe stato fatto durante le operazioni di estumulazione di una salma, un intervento che viene fatto regolarmente almeno dieci anni dopo la sepoltura. «Abbiamo sperato che questo fatto per quanto antipatico rimanesse circoscritto all’interno della mia comunità», ha detto il sindaco Stefano Andrea De Paola parlando con Repubblica. «Da subito abbiamo preso le distanze da un simile gesto, sono stato io stesso a denunciare l’accaduto per rispetto verso la mia comunità».
La difesa dell’uomo: «Errore ingenuo»
Di chi sia il dito che ha premuto sul cellulare per immortalare quel momento nessuno lo sa. Anche perché l’operaio non è mai stato sentito e ha rifiutato un decreto penale, la sanzione pecuniaria che il gip emette per evitare le lungaggini del dibattimento e chiudere il prima possibile i procedimenti per i reati meno gravi. Secondo i carabinieri, che hanno denunciato l’uomo, l’operaio avrebbe «esposto in maniera indegna la salma ponendola in posizione eretta accanto a sé offendendo il decoro e il rispetto dovuto ai resti mortali». La posizione dell’uomo è rimasta invariata: puntare a dimostrare che si tratta di un errore ingenuo e senza offendere la memoria e il ricordo di una persona defunta.
