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Luciano Moggi: «John Elkann venderà anche la Juve. È l’ultimo anello di una catena spezzata»

13 Dicembre 2025 - 07:56 Alessandro D’Amato
luciano moggi john elkann juventus
luciano moggi john elkann juventus
L'ex dirigente: «Se prendi un direttore e dopo due anni lo mandi via, vuol dire che hai sbagliato a prenderlo oppure a non sostenerlo»

Luciano Moggi ne è convinto: «John Elkann venderà anche la Juventus». In un’intervista al Foglio l’ex Ds dei bianconeri squalificato dopo Calciopoli dice che «ereditare non basta» e che «è impressionante che la Fiat abbia abbandonato Torino, prima ancora della squadra. La Juventus conta, certo. Ma la Fiat era un sistema». E quando un sistema si ritira «la squadra segue». I bianconeri oggi vanno male perché non hanno una società all’altezza della situazione: «Se prendi un direttore e dopo due anni lo mandi via, vuol dire che hai sbagliato a prenderlo oppure a non sostenerlo. Una delle due. Ma comunque hai sbagliato».

I dirigenti francesi

Oggi i dirigenti della Juventus sono tutti francesi, dice Moggi. «Non li conosco nemmeno. So che ce n’è stato uno che prima si occupava di tennis». Su Elkann Michel Platini racconta un aneddoto di una partita di beneficenza: Elkann in campo. Dopo pochi minuti è senza fiato, chiede il cambio, si siede in panchina accanto a Platini, recupera, poi chiede di rientrare. Platini lo guarda e gli dice: «Guarda che non è basket». Moggi ride: «È una battuta alla Platini. Plausibile». Gianni Agnelli invece lo chiamava alle 5 del mattino: «Poi mi chiamava suo fratello, il dottor Agnelli, cioè Umberto. Bastavano poche parole, spesso nessuna. L’Avvocato non spiegava: capiva. Aveva l’istinto degli uomini, prima ancora che delle partite».

Umberto Agnelli

Umberto invece era un manager vero: «Quando decise di prendere in mano la Juventus, lo fece perché aveva capito che la gestione del grande Boniperti non funzionava più. Si era chiuso un ciclo». Per quello chiamò Moggi, Giraudo e Bettega: «La triade. Vincemmo ogni cosa. Da quella scelta nacque una Juventus nuova, costruita con metodo e senza sprechi. La soddisfazione non era spendere, ma comprare Zidane a cinque e rivenderlo a centocinquanta dopo aver vinto tutte le competizioni».

Giovannino Agnelli

Infine parla di Giovannino Agnelli, l’erede mancato: «Aveva già responsabilità importanti, nonostante l’età, e un attaccamento diverso alla Juventus». Con lui, dice Moggi, «a piega sarebbe stata un’altra. Forse non migliore per definizione, ma di sicuro coerente». Perché «anche l’Avvocato Agnelli aveva ereditato, certo. Ma aveva attraversato un apprendistato lungo, aveva sbagliato, aveva imparato. Qui no: tutto insieme, tutto subito». L’impero trasformato in portafoglio, la dinastia in holding. «E quando l’eredità non viene abitata, ma solo amministrata, i simboli diventano intercambiabili». La Juventus, allora, non è un’eccezione. «È l’ultimo anello di una catena che si è spezzata prima».