Mohammad Hannoun e le ombre sui fondi per Gaza: le mazzette ai poliziotti, il patrimonio e il peso della fonte israeliana nell’inchiesta

Mohammad Hannoun ha scelto di non rispondere alle domande del giudice per le indagini preliminari, ma ha reso dichiarazioni spontanee assistito dagli avvocati Emanuele Tambuscio e Fabio Sommovigo. Ha tenuto a precisare «che mai ha voluto o consentito che aiuti da lui raccolti arrivati a Gaza fossero etichettati, distribuiti o utilizzati da Hamas per fini propri». Nel suo intervento ha spiegato anche come funzionava il sistema di raccolta fondi prima e dopo il 7 ottobre 2023, sottolineando che i contanti erano l’unica via percorribile dopo il blocco dei conti correnti e che le somme venivano sempre dichiarate in dogana. Ha rivendicato la natura umanitaria della sua attività, destinata secondo lui al popolo palestinese in tutte le zone, da Gaza alla Cisgiordania fino ai campi profughi.
Lo scontro tra fazioni palestinesi e l’indagine dell’Anp
Dalle carte emerge un elemento particolare: Hannoun era finito nel mirino dell’Autorità nazionale palestinese, da sempre rivale di Hamas. Come spiega Repubblica, le informative provenienti da fonti israeliane raccontano di un’indagine condotta dall’intelligence dell’Anp sull’associazione italiana Abspp e sui suoi referenti a Gerusalemme e Gaza, tra cui Najeh Bakirat e Osama El-Issawi. Secondo la procura di Genova, il fatto che l’Autorità palestinese monitorasse l’associazione e che Hamas percepisse questo interesse come una minaccia è un dato rilevante. Si tratta però di ricostruzioni che i difensori degli arrestati contestano, almeno per quanto riguarda la loro utilizzabilità processuale.
Prove israeliane: quanto pesano davvero nell’inchiesta
Una delle questioni più discusse sulla vicenda, riguarda il valore probatorio della documentazione trasmessa da Israele. Il giudice per le indagini preliminari Silvia Carpanini ha affrontato preventivamente le critiche, chiarendo che si tratta di atti extraprocessuali acquisiti durante operazioni militari e poi inviati tramite i canali della cooperazione internazionale, in base al Secondo protocollo della Convenzione europea di assistenza giudiziaria firmato a Strasburgo.
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Come ricorda Repubblica, sono due le informative provenienti da Avi. Si tratta di un importante agente del Mossad ai vertici della sezione finanziaria dell’antiterrorismo israeliano. I due documenti hanno come oggetto «le informazioni ottenute dalla Military Wing of Hamas riguardo a un’indagine della Autorità Palestinese di Sicurezza Preventiva (l’intelligence dell’Anp, ndr) sul conto dell’associazione Abspp. È proprio in questa che viene citato Hannoun in quanto presidente. Come referente a Gerusalemme dell’associazione si fa riferimento a Najeh Bakirat, alto funzionario di Hamas e Osama El-Issawi a Gaza.
L’indagine su Hannoun era già stata avviata nel 2021 e archiviata proprio per mancanza di riscontri da Israele. È stata la strage del 7 ottobre 2023 a far ripartire tutto, basandosi però principalmente su intercettazioni telefoniche e ambientali, videosorveglianza, analisi patrimoniali e informative dell’intelligence italiana. I documenti israeliani sono arrivati solo alla fine. Inoltre, secondo il gip, l’analisi del server dell’associazione ha confermato l’autenticità di alcuni documenti trasmessi autonomamente da Israele, conferendo credibilità generale al materiale ricevuto.
Le mazzette per far passare i camion dall’Egitto
Gli inquirenti hanno ricostruito come i soldi raccolti arrivassero a Gaza passando dall’Egitto. Come riporta La Stampa, il “tesoriere” Abu Rawwa Adel Ibrahim Salameh, accusato di concorso esterno, emerge come figura chiave nella gestione economica. In una conversazione intercettata il 27 marzo spiega: «Ci sono dei soci diretti verso Gaza. Stanno facendo entrare 28 camion di farina. L’esercito egiziano chiede 2.500 euro per ogni camion e 400 euro per ogni soldato di scorta. E poi, l’associazione ha dovuto pagare una mazzetta di 86mila euro».
Con il passare del tempo e l’inasprirsi dei controlli, il trasporto diventa sempre più complicato. Un indagato ammette: «Abbiamo le mani legate. Il denaro lo spostiamo solo a mano». Abu Rawwa, uomo colto e poliglotta, viene elogiato da Hannoun in un’intercettazione del 20 giugno 2024: «Tu da solo in otto mesi hai raccolto quello che non si è raccolto mai in tre o quattro anni». La risposta: «Sì, è vero, senza contare quelli del Pos e altre cose sono arrivato quasi a un milione, a 900mila euro».
Gli altri indagati davanti al gip
Oltre ad Hannoun, il gip ha convalidato tutti e sette gli arresti. Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere Yaser Elasaly, Dawoud Raed Hussny Mousa e Adel Ibrahim Salameh Abu Rawwa, assistiti dall’avvocato Pierfrancesco Poli, e Jaber Abdelrahim Riyad Albustanji, referente norvegese difeso dall’avvocata Grazia Palumbo. Hanno invece parlato Raed Al Salahat, referente per Firenze difeso dall’avvocato Simone Zucchini, e Abu Deiah Khalil, responsabile a Milano della Cupola d’Oro e assistito dall’avvocato Sandro Clementi. Quest’ultimo ha spiegato che il suo assistito «ha voluto evidenziare la sua matrice laica e di sinistra che già di per sé lo vede lontano anni luce da Hamas con cui non ha nessun rapporto». Khalil avrebbe anche precisato di aver avuto rapporti limitati con l’associazione di Hannoun e di non riconoscersi nelle frasi intercettate in cui sembrerebbe inneggiare ad Hamas.
Il patrimonio immobiliare e la strategia per evitare i blocchi
L’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese disporrebbe di circa cinquanta immobili in Italia, concentrati soprattutto nel Nord Est: capannoni, alloggi, terreni. Secondo la Digos e la Guardia di finanza, non si tratterebbe di una gestione casuale ma di un sistema organizzato di acquisti, affitti e rivendite. Quando i sospetti investigativi si fanno più pressanti, Abu Rawwa detta la linea, riporta La Stampa: «Non parlare di queste cose. Noi siamo per gli aiuti umanitari. Loro ci stanno dietro. I nostri telefoni a un milione per cento sono intercettati». Tra le strategie emerse dalle intercettazioni, quella di costituire nuove società con rappresentanti legali “da sacrificare” per evitare il blocco dei conti. L’avvocato milanese Mohamed Ryah, ora tra gli indagati a piede libero, in una riunione diceva: «Apriamo una nuova società e individuiamo un altro rappresentante legale da sacrificare. Eviteremo il blocco dei conti».
