Referendum giustizia, l’ipotesi di cambiare il sistema di voto per gli italiani all’estero: perché per la maggioranza è utile e per il Pd è un «golpe»

Il tempo di un ultimo brindisi per chiudere l’anno solare, che con l’arrivo del 2026 si entrerà nel vivo del referendum sulla giustizia, uno degli appuntamenti politici più attesi del nuovo anno. La consultazione, che propone la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, si terrà in primavera. Come ricordato in più occasioni anche dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, il voto è previsto per il mese di marzo, ma la data non è stata ancora ufficializzata.
Nel frattempo, la campagna elettorale è di fatto iniziata: dai nomi degli “sponsor” chiamati a guidare la mobilitazione fino agli slogan lanciati dai leader sui palchi. Ma negli ultimi giorni, ha iniziato a farsi strada un tema specifico: quello del voto per i residenti all’estero. Perché in vista della consultazione potrebbero cambiare le regole del voto. «Il margine c’è» spiega ad Open Giorgio Mulè, deputato di Forza Italia e vicepresidente della Camera. Un tema che sta già creando forti dissapori tra centrodestra e centrosinistra.
L’odg: votare in presenza in consolati e ambasciate
Il tema è tornato all’attenzione nella notte tra il 29 e il 30 dicembre, durante la seduta notturna del Parlamento che ha portato, nelle prime ore del mattino, all’approvazione della Legge di Bilancio. Nel corso della notte sono stati votati 239 ordini del giorno, di cui circa cento presentati dalla maggioranza. Tra questi figurava anche quello a firma di Andrea Di Giuseppe, deputato di Fratelli d’Italia, in cui si chiedeva al governo di valutare l’introduzione del voto in presenza per i residenti all’estero. Nello specifico, la proposta prevede la possibilità di votare, in alternativa alla modalità per corrispondenza attualmente in vigore, «presso le sezioni elettorali appositamente istituite nelle ambasciate e nei consolati italiani nel mondo», come già avvenuto in occasione delle elezioni europee del 2024.
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Di Giuseppe (FdI): «Poca sicurezza e costi elevati»
«Il sistema tuttora in vigore è semplice e complesso allo stesso tempo – spiega il deputato interpellato da Open – anacronistico, rimasto sostanzialmente invariato da circa 25 anni», e nel quale «le irregolarità possono verificarsi in diverse fasi: al momento della ricezione del plico, dell’espressione del voto, dell’invio e dello scrutinio». Di Giuseppe punta il dito contro i patronati «che acquistano o raccolgono schede elettorali, persino intestate a persone decedute». Oltre ai profili di sicurezza, il voto per corrispondenza presenta per il deputato anche un problema di costi: «Ogni tornata elettorale comporta una spesa elevata per lo Stato italiano, pari a circa 60 milioni di euro».
Dai dem: «Grave cambiare le regole a 90 giorni dal voto»
Una richiesta che è stata accolta dall’Esecutivo, scatenando però la reazione durissima dell’opposizione, che vi intravede «un precedente istituzionale molto grave». A dirlo è il dem Toni Ricciardi, che contesta la scelta di impegnare il governo a intervenire su una legge elettorale «a meno di 90 giorni da una consultazione». «Intervenire sulla normativa elettorale così a ridosso del voto – ribadisce Ricciardi – solleva seri dubbi di legittimità e di opportunità». Una procedura che, secondo il Pd, «rischia di minare la certezza del diritto e il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche».
Mulè: «Serve per rafforzare la regolarità»
Una precisazione tecnica, però, è d’obbligo: l’ordine del giorno non ha valore normativo, ma rappresenta un atto di indirizzo politico e non produce effetti giuridici immediati. Per intervenire sulle modalità di voto servirebbe quindi un provvedimento legislativo ad hoc, ipotesi che la maggioranza sembra comunque intenzionata a valutare. «Un margine c’è – spiega Mulè, il deputato che per Fi si sta occupando del dossier referendum – ma non tanto per modificare il sistema di voto quanto per rafforzarne la regolarità». Una modalità quella proposta da FdI che per l’azzurro è «del tutto ordinaria» anche se «resta da capire se ci siano tempi e condizioni per organizzare la macchina elettorale».
Fornaro: «Un golpe democratico»
Netta la replica delle opposizioni. «Cambiare le regole del gioco mentre si sta giocando la partita del referendum sarebbe inaccettabile», ribatte ad Open il deputato del Pd Federico Fornaro, membro della commissione Affari costituzionali. Secondo il dem, non essendoci il tempo per un intervento con legge ordinaria, si dovrebbe ricorrere all’ennesimo decreto che configurerebbe come «un golpe democratico senza consenso unanime».
