«Lavorare meno, lavorare tutti». Sì o no? Pareri a confronto

«Siamo fermi in Italia all’ultima riduzione dell’orario di lavoro del 1969», ha detto Pasquale Tridico, presidente dell’Inps, parlando di occupazione. Cosa pensano, oggi, i sindacati di uno slogan che ha fatto la storia della sinistra negli anni Settanta?

Il neopresidente dell'Inps Pasquale Tridico ha dato inizio al suo mandato con un'uscita importante, che ci riporta indietro (almeno) di qualche decennio: «Lavorare meno, lavorare tutti». Lo ha detto durante una lezione sulle diseguaglianze nel capitalismo finanziario, tenuta a Roma alla facoltà di Economia dell'Università La Sapienza.


L'ultima volta che la questione della diminuzione delle ore lavorative come strategia per aumentare l'occupazione ha animato il dibatto pubblico, è stato alla fine degli anni Novanta. A capo del governo c'era Romano Prodi, e Fausto Bertinotti era il segretario di Rifondazione Comunista. Anche allora, però, non si venne a capo di una riforma.


«Siamo fermi in Italia all’ultima riduzione dell’orario di lavoro del 1969», ha detto Tridico. «Non ci sono riduzioni da 50 anni e invece andrebbero fatte. Gli incrementi di produttività vanno distribuiti o con salario o con un aumento del tempo libero. Con questa riduzione aumenterebbe l’occupazione».

Per il vicepremier Luigi Di Maio (che aveva candidato Tridico come ministro del Lavoro prima del contratto di Governo), il tema «merita approfondimenti e massima discussione con le imprese e i rappresentanti dei lavoratori». È davvero ancora possibile pensare l'occupazione in questi termini?

Perché sì, Cgil: «La diminuzione dell'orario lavorativo è ancora una battaglia prioritaria»

Massimo Bonini è il segretario generale della Camera del Lavoro di Milano dal 2015. A Open ha spiegato che una delle battaglie prioritarie del suo sindacato, la Cgil, rimane quella della diminuzione del numero delle ore lavorative. «È un tema auspicabile. Si può e si deve ancora parlare in questi termini». Il tema dell'occupazione, secondo Bonini, non può prescindere dal riferimento a una revisione dei tempi della messa a lavoro.

A maggior ragione diventa centrale ora, dal momento che le nuove tecnologie sono entrate nel mondo del lavoro e della vita di tutti i giorni. Spiega Bonini: «La reperibilità 24 ore su 24 è un problema che va tenuto sotto controllo». «Confindustria dice che ridurre l orario di lavoro farebbe perdere in temi di produttività», sottolinea. «Secondo noi, più che la quantità di ore di lavoro, a garantirne l'aumento sono le modalità attraverso cui un lavoro viene portato avanti».

Perché no, Cisl: «Una formula che non sta né in cielo né in terra»

Marco Bentivogli è il volto della Fim Cisl, la Federazione Italiana Metalmeccanici, dal 2014. Riguardo alla frase di Tridico, la sua posizione non lascia spazio a interpretazioni: «Immaginare che, se riduco o dimezzo l'orario di lavoro a un dipendente full time, allora dò lavoro ad altre persone, è una cosa che non sta né in cielo né in terra», ha detto a Open.

Secondo Bentivogli, l'espressione ha la stessa attendibilità delle parole su Quota 100: «Luigi Di Maio aveva detto che grazie al provvedimento sulle pensioni ci sarebbero stati 100 giovani occupati per 100 lavoratori andati in pensione. Le cose non stanno immediatamente così».«Anche in altre parti d'Europa dove le leggi hanno forzato riduzione generali dell'orario di lavoro non abbiamo assistito a un aumento della domanda di lavoro», spiega ancora il sindacalista. «Né hanno avuto effetti buoni sull'occupazione».

Due punti di accordo: lo smart working e la formazione

«La tecnologia non è solo un aspetto negativo del progresso», aggiunge Bentivogli. «Ci dà tantissima potenzialità per ridurre l'orario di lavoro. Si tratta di smart working,il lavoro agile che rende tutti felici. I lavoratori, perché aumenta la capacità di conciliare la vita con il lavoro. E le imprese, perché alza i livelli di produttività, che èla condizione per aumentare l’occupazione riducendo gli orari».

Anche per Bonini lo smart working può essere inteso in maniera più che positiva. Ma a patto che non diventi un privilegio per pochi: «Bisogna innanzitutto creare le condizioni affinché tutti possano avere un luogo dove lavorarecomodamente fuori dall'ufficio. Alcuni lavoratori vivono in case piccole con famiglie numerose. Questo sarebbe uno svantaggio rispetto achi ha una condizione più consona».

Nel rapporto ormai inscindibile tra progresso digitale e mondo del lavoro, i due sindacati confederali non transigono su un aspetto: «C'è bisogno di formazione. C'è bisogno che tutti i lavoratori siano in grado di adeguarsi ai tempi e rimanere occupabili».

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