Le sfide del gruppo Visegrád: quale futuro per l’alleanza anti europea?

Tutti gli occhi sono puntati sul destino del blocco sovranista di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia. E sul loro progetto per smontare l’Europa

Il fronte sovranista dei V4 formato dall’alleanza informale di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia è al banco di prova delle Europee.


Conosciuta come il gruppo Visegrád, dal nome del castello ungherese sede dei primi incontri, la coalizione contro i “poteri forti” di Bruxelles è in realtà profondamente divisa al suo interno.


Nonostante l’intento comune di voler mettere fine all’ingerenza dell’Europa negli affari nazionali, il blocco Visegrád non è riuscito a formare alleanze sostanziali con i sovranisti del Parlamento europeo.

Le origini

Dopo la fine della Guerra Fredda il gruppo dei 4 si è trovato ad affrontare problemi comuni, a causa del vuoto politico lasciato dalla caduta dell’Unione Sovietica.

La necessità di avvicinarsi al cuore dell’Europa e risolvere i problemi economici portò il fronte a siglare il 15 febbraio 1991 il trattato di Visegrád: un patto volto a raggiungere un’integrazione politica con Bruxelles. Il processo fu completato simbolicamente nel 2004 con l’ingresso formale nell’Unione Europea.

Ma nei primi 15 anni all’interno del blocco, i quattro di Visegrád hanno visto crescere i loro sentimenti anti-europei. E, memore del passato sovietico, il club dell’Est non vuole sottostare a nuovi dictat, neppure se vengono da Bruxelles.

ANSA/ Il muro metallico e di filo spinato anti-immigrati nel sud dell’Ungheria, al confine con la Serbia, 27 agosto 2015.

Il tema più caldo è l’immigrazione: dal 2012 al 2015 l’Ungheria è stato uno dei principali destinatari della cosiddetta rotta balcanica. Anche per questo, nel V4 è cresciuta una forte ostilità verso l’immigrazione e l’obbligo dell’accoglienza dai palazzi di Bruxelles.

Ma i contrasti con l’Ue coinvolgono numerosi ambiti, inclusi quelli economici e diplomatici. I membri di Visegrad considerano le politiche dell’Ue significativamente svantaggiose nei confronti del blocco dell’Est, anche in chiave anti-Russia.

Budapest verso i sovranisti

Negli ultimi anni il rapporto con l’Unione si è deteriorato, tanto che in Ungheria e Slovacchia sono cresciuti sentimenti anti-europeisti e xenofobi. «L’Ungheria è cristiana, non saremo mai un Paese di immigrazione», ha dichiarato più volte il primo ministro Viktor Orbán, alla guida del Paese con Fidesz per il terzo mandato consecutivo.

Il Paese magiaro è diventato il punto di riferimento per quei Paesi sia a est che in Europa, che vogliono una revisione delle politiche europee a favore di un maggiore potere decisionale dei singoli Paesi. L’Ungheria si è così avvicinata anche all’Italia e alla Lega di Salvini che con Orbán cerca da mesi un’intesa in vista del voto del 26 maggio.

In questo modo, i rapporti tra il leader di Fidesz e il Partito Popolare Europeo di cui fa parte si sono incrinati aprendo nuovi scenari per la composizione del Parlamento.

Orbán e il PPE

A marzo il primo ministro ungherese Viktor Orbán è stato sospeso dal Partito dei Popolari Europei, il gruppo più numeroso dell’Eurocamera. L’organizzazione, di cui fa parte la cancelliera tedesca Angela Merkel, ha deciso di ripensare la possibilità di un espulsione definitiva del leader Fidesz per non perdere i voti del partito magiaro.

Matteo Salvini con Viktor Orban durante una conferenza stampa con il primo ministro ungherese a Budapest, 2 maggio 2019.

Dall’altra parte, se il PPE dovesse riproporre un’alleanza con socialisti, democratici e liberali, Orbán uscirebbe definitivamente dai popolari per unirsi al gruppo di Salvini e Le Pen. Ma Orbán ha ribadito il suo sostegno al leader conservatore Manfred Weber per la guida della Commissione.

Slovacchia: dentro o fuori?

Il governo di Bratislava è più diviso che mai. Dopo l’uccisione nel febbraio del 2018 del giornalista investigativo Ján Kuciak e della sua compagna Martina Kušnírova, migliaia di persone si sono riversate nelle strade di Bratislava per chiedere giustizia per la morte del reporter sotto lo slogan « «Per una Slovacchia decente ».

Le proteste hanno portato alle dimissioni del primo ministro Robert Fico e del suo ministro dell’Interno. I cambi al vertice hanno mischiato le carte in tavola tanto che a marzo Zuzana Čaputová ha vinto il secondo turno delle elezioni presidenziali diventando la prima donna a coprire la carica di presidente.


La neo-presidente Zuzana Caputova di fronte al palazzo di Grassalkovich, la sede ufficiale del Presidente slovacco a Bratislava, 31 marzo 2019.

Nonostante i poteri conferiti al presidente siano nettamente inferiori rispetto a quelli del primo ministro, l’elezione del vicepresidente di Slovacchia Progressista ha visto un significativo rimescolamento della politica slovacca.

Negli ultimi anni il Paese ha assistito a una crescita della destra xenofoba e radicale.

Peter Pellegrini, il primo ministro entrato in carica dopo le dimissioni di Fico, ha posizioni fortemente anti migratorie e conservatrici. Dall’altra parte, il ministro degli Esteri viene dall’ala progressista e lo scorso dicembre aveva più volte minacciato dimissioni nel caso in cui il governo non avesse ratificato il Global Compact on Migraiton proposto dalle Nazioni Unite.

Secondo i sondaggi l’estrema destra avrebbe uno degli elettorati più motivati nel panorama slovacco. Il gruppo “Noi siamo una famiglia” (Sme rodina) è un alleato dell’EANP di Matteo Salvini.

Polonia: tra Bruxelles e Salvini

Il partito Diritto e Giustizia di destra (PiS / ECR), alla guida di Varsavia, è una spina nel fianco di Bruxelles che ha spesso criticato la Polonia per le sue nuove politiche che minano lo stato diritto.

Il PiS al governo ha recentemente iniziato a sottolineare il ruolo positivo dell’UE nelle vite dei cittadini polacchi. Jarosław Kaczyński, il suo leader, ha dichiarato: «Il sostegno all’adesione della Polonia all’UE è un requisito per chiunque si definisca un buon patriota».

Leader del partito Diritto e Giustizia Jaroslaw Kaczynski durante una convention a Lublin, in Polonia, 13 aprile 2019.

L’oscillazione tra politiche fortemente anti europee e la retorica europeista ha portato molti a pensare che il PiS stia solo cercando di guadagnare voti. Rimane ancora molto incerta la direzione dell’alleanze del partito nel post-voto.

Il partito è attualmente nell’ECR, il gruppo dei conservatori e riformatori europei, ma la composizione del gruppo dopo le elezioni non è ancora nota e ci sono altre opzioni sul tavolo.

Disposto a formare una coalizione euroscettica, Matteo Salvini è alla ricerca di partner in tutta Europa. Il PiS non ha però abbracciato le sue idee, almeno per ora, anche a causa agli stretti legami del ministro dell’Interno con Mosca che non sono ben visti dalla Polonia. Lo scenario più probabile, tuttavia, è che il PiS rimanga nell’ECR.

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