Perché sta esplodendo, e durerà, la protesta popolare di Hong Kong contro la Cina

La legge sull’estradizione ha portato nelle strade milioni di persone. L’intervista a Renzo Cavalieri, Professore di Diritto dell’Asia Orientale dell’università Ca’ Foscari di Venezia

Cresce la tensione a Hong Kong dove da giorni pltre un milione di persone si è riversato nelle strade della città semi autonoma per protestare contro la nuova legge sull’estradizione.


Martedì 12 giugno, nel giorno in cui sarebbe dovuta approdare in aula la controversa legge, i manifestanti hanno occupato le strade della città attorno al Parlamento, ottenendo un rinvio, a data da destinarsi, sull’inizio dell’esame per la nuova proposta.


La manifestazione è una delle più violente e partecipate degli ultimi vent’anni, da quando nel 1997 l’isola, dopo 156 anni come colonia dell’Impero britannico, venne “restituita alla Cina. Il bilancio è di 20 feriti tra agenti e dimostranti soccorsi e portati via durante le manifestazioni.

La polizia ha usato lacrimogeni, fumogeni, idranti e proiettili di gomma per respingere quanti hanno cercato di forzare i blocchi disposti a protezione delle sedi del Parlamento e del governo, protestando contro la controversa legge sulle estradizioni in Cina.

Una legge controversa

«Hong Kong deve evitare di diventare un luogo in cui i criminali dell’Asia orientale possano avere un asilo sicuro. È questa la motivazione ufficiale portata da Pechino», a chiarirlo a Open è Renzo Cavalieri, professore di Diritto dell’Asia Orientale all’università Ca’ Foscari di Venezia ed ex segretario della camera di commercio italo-cinese.

«C’è sicuramente una versione, che è quella istituzionale, dietro a questa legge, una scelta che nasce da un recente fatto di cronaca che ha visto la mancata estradizione di un assassino di Hong Kong che aveva commesso un reato a Taiwan», continua Cavalieri.

Foto di Matteo Lucido

«Dall’altra parte c’è l’impressione che stia crescendo la pressione del governo centrale di Pechino per evitare che Hong Kong diventi un luogo in cui possano esserci dei soggetti che sono invisi al potere centrale».

Così come in altri Paesi liberali, anche a Hong Kong esiste una normativa che permette l’estradizione solo verso Nazioni in cui sia garantito un giusto processo: «La Cina certamente è un Paese in cui il giudiziario opera in un modo completamente diverso da quello di un paese liberal democratico, non c’è separazione dei poteri, non c’è separazione tra potere giudiziario e politico quindi tendenzialmente è difficile che un potere giudiziario operi in condizione di indipendenza e autonomia”.

Una legge, dunque, che potrebbe trasformarsi in uno strumento politico nelle mani di Pechino per estradare avversari politici: «La legislazione cinese prevede delle pene molto gravi anche per reati che riteniamo di opinione, come la circolazione di informazioni riservate di Stato. Il rischio di estradizione riguarderebbe anche i cittadini stranieri che si trovano ad Hong Kong e che verrebbero processati in Cina», chiarisce Cavalieri.

La protesta degli ombrelli

Nel settembre 2014 migliaia di ombrelli riempirono le strade della città di Hong Kong in quella che fu rinominata come «la rivoluzione degli ombrelli».


Ansa/Manifestanti a Hong Kong durante la protesta degli ombrelli, 20 ottobre 2014

Un movimento nato dal basso con l’intento di chiedere più democrazie e partecipazione. Una protesta che durò mesi e che chiedeva il rispetto degli accordi stipulati nel 1997 con il passaggio della sovranità dalla Gran Bretagna alla Cina. «Come con la protesta degli ombrelli credo che anche questa volta i manifestanti torneranno presto a casa», dichiara Cavalieri. «Non ho l’impressione che questa sia una cosa così grossa da incidere in maniera forte e permanente sulla situazione politica di Hong Kong. Il segnale dato dalle proteste è comunque un segnale forte», prosegue Cavalieri.

Una convivenza in bilico?

Nel 1997 Hong Kong fu ceduta, per alcuni restituita, dall’Impero Britannico alla Cina mettendo fine al suo controllo coloniale. «La città è molto cambiata rispetto a qualche anno fa, è sempre più cinese”, racconta Matteo Lucido a Open.

Lucido vive a Hong Kong da cinque anni, prima un’esperienza in Cina e poi la decisione di spostarsi nuovamente. «Si viveva tutto sommato bene in Cina, ma c’era una forte restrizione delle libertà personali».

A Hong Kong Lucido lavora per un’azienda italiana: «Tutte le persone sono schedate in Cina ed è proprio quello che gli hongkonghesi vogliono evitare, vogliono evitare che si rafforzi il controllo di Pechino».

Foto di Matteo Lucido

«Con questo genere di interventi – chiarisce Cavalieri – Hong Kong rischia di minare la sua credibilità come luogo trasparente, dove vige un’amministrazione pulita e efficiente di derivazione britannica».

Per Cavalieri a essere in pericolo è l’anima di attrazione commerciale di Hong Kong: «Il suo successo come hub finanziario, la borsa, rischiano di essere messi un po’ in crisi da queste norme che preoccupano l’opinione pubblica come si è visto, ma anche gli investitori internazionali che in Hong Kong vedono un pezzo di Cina in cui ci sono garanzie legali, a differenza di quanto avviene a Pechino».

Una colonia britannica

«A Hong Kong c’è un malcontento molto forte a causa della forte iniquità sociale e con questi interventi sembra che Pechino non voglia aspettare fino al 2047 per inglobare definitivamente Hong Kong», sottolinea Lucido.

I cittadini di Hong Kong stanno sempre più prendendo atto del fatto che ormai sono passati vent’anni dalla fine del mandato britannico e che la loro ricchezza dipende in larga parte dalla Cina», chiarisce Cavalieri.

«Hong Kong è diventata sempre più la porta della Cina più che non un luogo anomalo, diverso, pur nell’area cinese. Si sentono cinesi ma sono anche molto fieri della loro identità e di tutte le libertà e i diritti che hanno acquisito nel periodo della dominazione britannica. Avevano la garanzia che i diritti e le libertà che valevano a Londra erano anche estesi a Hong Kong».

Foto di Matteo Lucido

«Uno dei grandi temi di questa nuova legge sull’estradizione è che i giudici hanno pochissimo da dire – sottolinea Cavalieri – il processo di estradizione verso la Cina prevede che sia il chief executive stesso il governatore di Hong Kong a decidere».

«Gli hongkonghesi vogliono cercare di conservare la ricchezza e il benessere, anche la qualità della vita, proprio attraverso un giudiziario forte, una legislazione liberale. E la nuova proposta di legge li ha toccati su un tema a loro molto caro», conclude Cavalieri.

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