Neon Genesis Evangelion: il rilancio dello storico anime è un buco nell’acqua (e un colpo al cuore)

Le aspettative dei fan (e non) sono state deluse, complice l’adattamento inappropriato scelto per il rilancio di uno degli anime più influenti di sempre

Poteva essere una delle più grandi occasioni di rilancio per un pilastro dell’animazione giapponese, ma è stato un buco nell’acqua. Neon Genesis Evangelion, il capolavoro di Anno Hideaki, frutto della lotta dell’autore stesso con la depressione e l’alienazione vissuta in quegli anni, complice anche la crisi economica che travolse il Paese nipponico nei primi anni Novanta, è approdato su Netflix.


«Ho cercato di mettere tutto me stesso in Neon Genesis Evangelion», scriveva l’autore nel 1995, anno di pubblicazione del progetto. «Ho messo tutto quello che potrebbe mettere un uomo distrutto che non è riuscito a fare nulla per quattro anni. Un uomo che è scappato per quattro anni, uno che semplicemente non era morto. Poi un pensiero: “Non puoi scappare”. Il mio unico pensiero era quello di esternare il mio lato più sensibile e oscuro in questa serie». 


E se apparentemente la vicenda, articolata in 26 episodi più due film cinematografici, potrebbe sembrare una semplice storia di scontri tra robot che difendono l’umanità da misteriose creature (gli Angeli), così di fatto non è.

La trama

La storia è ambientata nell’(ormai non più) futuro del 2015, in una NeoTokyo-3 ancora sconvolta dal Second Impact, il cataclisma ambientale dovuto all’impatto dell’angelo Adam con la calotta polare dell’Antartide e in rinnovato stato di allarme per un sospetto ulteriore Third Impact con un nuovo Angelo.

Shinji Ikari, il protagonista di Neon Genesis Evangelion

Per far fronte a questa minaccia viene richiamato il 14enne Shinji Ikari, figlio di Gendo Ikari, capo dell’organizzazione militare Nerv che ha realizzato gli Eva, dei giganteschi umanoidi guidati grazie a una connessione nervosa e a un sistema di interfaccia neurale. Le diverse unità Eva, sono collegate a dei generatori d’energia denominati “Umbilical Cable”. Insomma, dei “cordoni ombelicali” che sottintendono che le Unità Eva non siano dei semplici robot, ma delle creature dotate d’anima.

Le Unità Eva di Neon Genesis Evangelion

Shinji inizialmente si rifiuta di pilotare l’Eva-01, ma alla vista del corpo esanime e bendato della sua possibile sostituta alla guida dell’Unità Eva (Rei Ayanami), il giovane decide di salire a bordo dell’umanoide ripendo a se stesso «Non puoi scappare», proprio come fece Anno Hideaki davanti alla possibilità di potersi riappropriare della propria vita durante il buio della depressione. Ai due piloti si aggiungerà poi Asuka Soryu Langley e altri personaggi “minori”. Ed è così che prende il via la storia di Neon Genesis Evangelion.

Shinji, Asuka e Rei, i tre dei protagonisti principali di Neon Genesis Evangelion.

Gli umanoidi e il conflitto dell’anima umana

Ma sono proprio i temi dell’anima e dello sviluppo psicologico dei protagonisti a rappresentare il reale fulcro dell’opera. L’introspezione, la depressione, la fragilità, l’alienazione, i risvolti psicologici delle azioni e delle relazioni umane sono i veri punti cardine della saga.

E sono innumerevoli i rimandi dell’opera alla filosofia, alla psicologia, alle religioni cristiane, ebraiche e cabalistiche (ma anche all’esoterismo), esplicitati nella storia con innumerevoli richiami letterari e grafici.

L’albero della Vita in Neon Genesis Evangelion

Nell’anime non si riescono a contare i rimandi a Freud, Jung, Schopenhauer e Kierkegaard, così come i rimandi all’iconografia religiosa, come la Lancia di Longino (o Lancia del Destino, quella con cui venne trafitto il corpo del Cristo), o i richiami all’Albero della Vita e ad Adamo ed Eva, o ancora la Sala del Guf (in cui risiedono le anime che non hanno ancora trovato un corpo, secondo la mitologia ebraico-cristiana) e tra gli altri, anche al personaggio demoniaco di Lilith. 

Lilith in Neon Genesis Evangelion

L’inappropriato adattamento di NGE per Netflix

Ed è proprio per tutti questi motivi che i fan della serie si sono arrabbiati per l’adattamento italiano curato da Gualtiero Cannarsi, già ampiamente criticato per i precedenti lavori realizzati per i film dello Studio Ghibli per Lucky Red

Malgrado Cannarsi possa anche aver ragione quando spiega che «l’adattamento è più fedele al linguaggio originale», il risultato riesce a risultare persino straniante per lo spettatore che ha già visto la serie. Il tutto a partire anche solo da una parola fondamentale nella vicenda: nell’adattamento di Cannarsi gli “Angeli” sono infatti diventati “Apostoli”.

Una cosa che sembrerebbe di poco conto per i non esperti. Non fosse però che in passato venne fatto notare ad Anno Hideaki che il termine shito non indicasse propriamente gli “angeli”, ma gli apostoli. Ma a lui poco importò della traduzione letterale, perché per questioni estetiche preferiva l’uso del termine “Angel”, ossia “Angelo”.

Se è pur vero che il termine shito si traduca letteralmente in “apostolo”, l’intera saga è sempre stata ruotata intorno al termine “angelo”, parola presente in diversi frame, oltre che nel titolo della sigla d’apertura «A cruel Angel’s Thesis».

Scontro sul termine specifico a parte, il risultato complessivo dell’adattamento di Cannarsi risulta essere barocco e fuoriluogo, a causa dell’uso forzato di un veterolinguismo inappropriato, ridondante, a tratti sgrammaticato e incomprensibile. E tutto questo, purtroppo, oltre a inficiare la comprensione di una vicenda tutt’altro che semplice da capire, stona ancor di più se si pensa che a parlare siano prevalentemente i protagonisti della storia, che restano pur sempre dei ragazzi di 14 anni.

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