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Saluto fascista il 25 aprile: assolti i dirigenti di Lealtà-Azione. Le motivazioni della sentenza

25 Giugno 2019 - 19:39 Redazione
Il 25 aprile del 2016 un gruppo di militanti del movimento di estrema destra si ritrovò al cimitero maggiore di Milano, dove sono sepolti caduti e gerarchi della Repubblica di Salò. Per il giudice l'adunata e i riti che ne seguirono non sono un reato

Era un saluto rivolto ai defunti, non un tentativo di restaurare il fascismo. È con questa motivazione che il giudice di Milano, Alberto Nosenzo, ha assolto quattro dirigenti di Lealtà-Azione, uno dei movimento di estrema destra più diffusi nel nord-italia, accusati di apologia del fascismo.

I quattro, tra cui il leader Fausto Marchetti, erano stati rinviati a giudizio perché il 25 aprile del 2016 avevano rivolto dei saluti romani ai caduti della Repubblica sociale, sepolti nel cimitero Maggiore di Milano.

Il pubblico ministero, Piero Basilone, aveva chiesto una condanna a tre mesi, ma per il giudice «le manifestazioni», pur avendo «indubbia simbologia fascista», erano «esclusivamente dirette alla commemorazione dei defunti» e «non avevano finalità di restaurazione fascista», fatto per cui mancava un «pericolo concreto».

L’indagine era partita dopo un esposto dell’Osservatorio democratico sulle nuove destre. Il 25 aprile di tre anni fa, aveva detto il presidente Saverio Ferrari, «ci fu un corteo di circa 300 persone che fece apologia del fascismo in quel campo dove non sono solo sepolti ragazzi caduti dalla parte sbagliata, ma anche gerarchi di Salò».

Il fatto che i manifestanti abbiano eseguito i riti tipici di queste celebrazioni – dal saluto ramano, alla chiamata del “presente” – ha indotto il giudice a inquadrare l’adunata come manifestazione fascista.

Secondo il giudice, però, le manifestazioni fasciste punite dalla legge Scelba sono quelle che preludono alla riorganizzazione del partito nazionale fascista, mentre la manifestazione al cimitero maggiore «non ha travalicato l’ambito della commemorazione dei defunti, senza comportamenti minacciosi né interesse a fare pubblicità all’evento».

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