Secondo fonti del WSJ, la Federal Trade Commission ha votato a favore di una multa record per il colosso di Menlo Park
La Federal Trade Commission ha deciso di multare Facebook con un’ammenda record da 5 miliardi di dollari per aver violato la privacy di milioni di utenti, a margine dello scandalo Cambridge Analytica. La Federal Trade Commission aveva aperto le indagini su Facebook dopo l’esplosione dello scandalo Cambridge Analytica, la società del Regno Unito che avrebbe avuto accesso ai dati di oltre 85 milioni di utenti Facebook senza il loro consenso, e che avrebbe interferito nella campagna elettorale delle presidenziali americane del 2016. L’agenzia statunitense sta inoltre valutando se il colosso di Mark Zuckerberg abbia violato l’accordo legale sulla privacy siglato con l’authority statunitense nel 2012. Dopo il voto, il dossier sul caso passerà al Dipartimento della Giustizia statunitense, che dovrebbe convertire la decisione del board in multa. Secondo quanto riferito dalle fonti del WSJ, tre commissari repubblicani avrebbero votato favorevolmente, mentre due esponenti democratici avrebbero richiesto maggiori strette sulle società di Zuckerberg. Al momento né Facebook né il board dell’FTC hanno rilasciato dichiarazioni.
Oggi Behre Medhanie Tasmafarian riacquista il suo nome. Il ragazzo, poco più che 30enne, tre anni fa aveva perso la sua identità. Gli era stata rubata nell’aula della Corte d’Assise di Palermo, da quegli inquirenti che continuavano a chiamarlo Mered.
Dal 2016 il pm Calogero Ferrara ha continuato a sostenere davanti ai giudici che a sedere al banco degli imputati fosse Mered Medhanie Yedhego, 38enne originario dell’Eritrea, considerato uno dei più «pericolosi trafficanti di esseri umani». Durante la requisitoria, Ferrara aveva chiesto per lui 14 anni di reclusione.
Il Tribunale di Palermo ha dato ragione però a chi ha sempre parlato di uno scambio di persona. Oltre agli avvocati di Behre Medhanie Tasmafarian, questa tesi era stostenuta anche da diverse testate internazionali, come il TheGuardian, il New Yorkere per ultima, in ordine di tempo, la tv pubblica svedese Svt. La Corte d’Assise, presieduta da Alfredo Montalto, ha letto la sentenza: «L’imputato non è Mered Medhanie Yedhego, l’uomo arrestato in Sudan ed estradato nel 2016 in Italia con l’accusa di essere a capo di una delle maggiori organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di migranti».
Ma è appunto «Medhanie Tesfamariam Behre, un falegname» come ha sostenuto sempre il suo avvocato Michele Calantropo . Una vittoria? In parte. È caduta l’accusa principale di «associazione per delinquere finalizzata al traffico dei migranti». Ma Behre è stato condannato lo stesso a 5 anni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Può però uscire dal carcere, perché la misura cautelare prevista per questo tipo di reato non può superare i tre anni: il giovane ha dunque già scontato la sua pena.
L’avvocato considera comunque la sentenza «una vittoria». Anche se il procuratore della Repubblica di Palermo, Francesco Lo Voi, non pensa che accusare Behre sia stato un errore, nonostante lo scambio di nome: «Che l’imputato sia un trafficante di esseri umani viene stabilito dalla condanna a 5 anni attraverso le prove raccolte successivamente all’arresto».
Per quanto riguarda il reato che viene contestato a Behre Medhanie Tasmafarian: «Bisogna leggere le motivazioni, ma sicuramente ricorreremo in Appello», ha detto il legale a Open subito dopo la sentenza, mentre fuori dal carcere aspettava proprio il suo assistito. «Ha pianto di gioia in aula quando è stata letta la sentenza. Ora non vede l’ora di uscire dal carcere: sono qui che lo aspetto. Starà ad alcuni connazionali che si sono offerti di aiutarlo», ha concluso l’avvocato.
Il video con le prove sullo scambio di persona
Negli anni del processo a Mered, diverse testate si sono occupate del caso raccogliendo man mano prove sull’innocenza di Behre. Uno dei primi articoli pubblicati, è stato ‘They got the wrong man”, says people-smuggling suspect sul Guardian a firma di Lorenzo Tondo e Patrick Kingsley. Sulla base di questo pezzo, sono nati altri lavori: diversi giornalisti si sono interessati alla vicenda. Tra questi Rosario Sardella e Saul Caia, due freelance, che hanno iniziato a seguire il caso per un concorso ma poi si sono appassionati e hanno continuato a raccogliere materiale sulla vicenda. Di seguito il loro video-reportage che raccoglie una serie di prove sullo scambio di persona. Prove che l’avvocato di Behre ha definito «schiaccianti».
Video di Rosario Sardella e Saul Caia
Nel filmato è lo stesso Calantropo a raccontare le tappe della vicenda: «Proprio mentre guardavo le immagini sul telegiornale e apprendevo la notizia della cattura di questo pericoloso trafficante, mi è squillato il telefono: dall’altro capo c’era una signora che parlava in modo molto concitato in inglese. Diceva: “Quello che hanno arrestato non è Mered, è mio fratello. Per favore se ne deve occupare perché non c’entra niente”». Il legale racconta poi come sia stato chiaro sin da subito che ci fosse stato uno scambio di persona e come abbia iniziato a raccogliere le prove, sentendo parenti e famigliari.
«Vorrei chiedere alle persone che hanno arrestato mio figlio, perché lo hanno fatto? È innocente, non ha fatto nulla. Come tanti giovani eritrei anche mio figlio cercava di raggiungere l’Europa», dice la mamma di Behre, volata dall’Eritrea in Italia per sottoporsi al test del Dna. Poi a un certo punto si sente la voce del vero Mered che fa una dichiarazione agghiacciante: «Mi sono guadagnato questa fama perché smisto una quantità enorme di persone…ci credi o no, soltanto quest’anno, minimo minimo ho mandato più di sette-otto mila persone».
Una voce che la perizia fonica ha escluso potesse essere quella dell’imputato, quindi di Behre. Ma la prova forse più evidente arriva alla fine del video: Calantropo, insieme a un interprete, chiama Lidya Tesfu, colei che nell’ordinanza di custodia cautelare risulta la moglie del vero Mered. Le chiede se l’uomo in carcere a Palermo è suo marito. La donna risponde di no. Una serie di evidenze, insomma, che oggi sono state confermate dalla sentenza del giudice. Per Behre non è ancora finita la battaglia legale, mentre la giustizia ha perso tre anni, senza cercare il vero Mered.
Verso l’espulsione
In serata, dopo la sentenza, il giovane eritreo è stato trasferito al centro di accoglienza di Caltanissetta, come riporta l’Adnkronos. Nonostante i giudici abbiano disposto la scarcerazione dell’imputato, perché la misura cautelare prevista per il favoreggiamento dell’immigrazione può avere una durata massima di tre anni, la polizia ha portato via il giovane per trasferirlo al centro d’accoglienza in attesa dell’espulsione. «Non capisco perché – ha detto all’agenzia il suo avvocato, Michele Calatropo – l’espulsione è prevista dal giudice solo dopo l’espiazione della pena. Sto andando in ufficio immigrazione per capire».