Ventisette anni dalla strage di Via D’Amelio, gli audio inediti di Borsellino

Il giudice ucciso dalla mafia lamentava assenze d’organico e di mezzi. I super latitanti passeggiavano per Palermo quando sapevano che i turni non erano coperti dalle volanti

Dagli archivi desecretati della Commissione parlamentare antimafia Paolo Borsellino racconta le difficoltà del pool che stava affrontando il maxi-processo contro Cosa Nostra: è l’8 maggio del 1984. Fra i numerosi problemi evidenziati dal magistrato ucciso dalla mafia nel 1992, c’è quello dell’organizzazione delle carte processuali.


Le dimensioni dell’indagine, spiega il magistrato, non consentono di andare avanti «con le nostre semplici rubrichette artigianali»: per risolverlo il pool si dota di una computer, ma secondo Borsellino mancherebbe il personale per poterlo mettere in funzione.


La scorta solo al mattino

È da questo particolare che Paolo Borsellino parte per evidenziare altre, più gravi carenze di personale che avrebbero messo a rischio la sicurezza dello stesso Borsellino e degli altri magistrati. La scorta, infatti, per ragioni burocratiche e di carenze d’organico, è prevista solo al mattino.

Le sue parole, otto anni prima dell’attentato che lo ha ucciso, mettono i brividi: «Buona parte di noi non può essere accompagnata in ufficio di pomeriggio da macchine blindate, come avviene la mattina, perché il pomeriggio è disponibile solo una blindata, che evidentemente non può andare a raccogliere quattro colleghi».

«Pertanto io – continua il magistrato alla Commissione – sistematicamente, il pomeriggio mi reco in ufficio con la mia automobile e ritorno a casa alle 21 o alle 22. Magari con ciò riacquisto la mia libertà, però non capisco che senso abbia farmi perdere la libertà la mattina per essere poi, libero di essere ucciso la sera».

L’accusa al Csm: più attenzione per Mondovì che per Palermo

In un’altra deposizione di Borsellino alla Commissione antimafia, quella dell’11 dicembre del 1986, il giudice parla di una «procura smobilitata» e va all’attacco che Consiglio Superiore della Magistratura che tarda a inviare i pubblici ministeri in procure di frontiera come quelle siciliane mentre è molto più solerte nel risolvere i problemi di quella di Mondovì. La sua procura invece è «un santuario», dove si potrebbero nascondere i super-latitanti Provenzano e Riina.

I superlatitanti a passeggio a Palermo

Nella stessa udienza Borsellino sempre a proposito di latitanti, ma anche della sua sicurezza, racconta che per permettere che una volante pattugli di notte Marsala, lui si è fatto dimezzare la scorta. Inoltre il magistrato riferisce il racconto di Tommaso Buscetta secondo cui i boss latitanti passeggiavano tranquillamente nel centro di Palermo perché erano informati del fatto che in quell’orario c’era il cambio turno delle auto di servizio di polizia e carabinieri. Nessuno quindi avrebbe potuto riconoscerli e arrestarli.

La smobilitazione del pool

In un altro incontro, del 3 novembre del 1988, Borsellino ritorna sulla smobilitazione della Procura e del pool antimafia di Palermo, dopo la mancata nomina a consigliere istruttore di Falcone, che allora fece molto scalpore anche nell’opinione pubblica. Il giudice tornerà ancora tre volte a riferire ai parlamentari Commissione antimafia tra il 1989 e il 1991, l’ultima il 24 settembre del 1991, dieci mesi prima di essere ucciso, denunciando i numerosi problemi dei magistrati che combattevano Cosa Nostra, soprattutto di natura pratica.

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