Il Garante dei detenuti sui migranti della nave Gregoretti: «Situazione fuori dalla dignità umana» – L’intervista

Secondo Mauro Palma, le condizioni dei migranti a bordo della nave militare potrebbero non rispettare la Convenzione europea. E Salvini potrebbe mettere il Paese in una posizione rischiosa

«La situazione della Gregoretti è un controsenso: 110 persone salvate dalla Guardia Costiera Italiana sono bloccate a bordo della nave perché non hanno il permesso dal Viminale di scendere da un molo che, però, è di competenza della stessa Guardia Costiera».


A parlare a Open è Mauro Palma, il Garante dei detenuti e delle persone private della libertà. Il 30 luglio, dopo un lunghissimo colloquio telefonico con l’ammiraglio delle capitaneria di porto Giovanni Pettorino, Palma ha chiesto che gli venissero comunicate le condizioni dei migranti a bordo della nave, ferma da giorni al molo Nato di Agrigento.


Ma la questione non è solo paradossale: secondo il Garante, siamo davanti a un rischio vero e proprio per l’Italia. La decisione del ministero dell’Interno di impedire lo sbarco degli adulti a bordo della Gregoretti potrebbe rivelarsi una «reazione emotiva» di cui il Paese «dovrà probabilmente rendere conto».

Dopo le sollecitazioni di Palma, la procura di Siracusa ha aperto un’inchiesta per accertare le condizioni igienico-sanitarie dei migranti, e tre commissari sono stati inviati a bordo per fornire un resoconto della situazione. Così il titolare del Viminale Matteo Salvini si espone al rischio di un nuovo caso Diciotti, nel quale fu indagato per sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio. Ed espone anche (e ancora) l’Italia al rischio di essere messa sotto indagine da un foro internazionale.

Twitter: i 130 migranti a bordo della Gregoretti

Già a fine giugno, la comandante della SeaWatch3 Carola Rackete aveva presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’essere umano di Strasburgo, facendo appello agli articoli 2 (diritto alla vita) e 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) della Convenzione. In quell’occasione, la Corte aveva respinto il ricorso dichiarando la propria incompetenza in merito alla decisione.

Proprio a seguito del passo indietro della CEDU, Palma aveva presentato un esposto alla procura di Roma affinché intervenisse per fare ulteriori verifiche. Anche questa volta, secondo il Garante, le condizioni a bordo della Gregoretti potrebbe essere al limite dell’accettabilità giuridica.

Qual è la situazione a bordo?

«Dalla parte della Capitaneria di porto e della Marina militare, posso assicurare che c’è la massima attenzione e comprensione del problema. Nulla da dire sul loro comportamento: hanno fatto salire la Croce Rossa e stanno cercando di attutire le criticità delle persone a bordo.

Dall’altra parte, però, abbiamo una nave della Marina Militare italiana, bloccata su una banchina che è di loro responsabilità, a cui viene impedito di fare scendere le persone a bordo».

Perché ha deciso di intervenire in prima persona?

«Il garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà è un Meccanismo delle Nazioni Unite (il National Preventive Mechanism), istituito nel contesto del Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro i trattamenti inumani o degradanti.

Da questo punto di vista, io ho l’obbligo di monitorare tutte le situazioni per cui le condizioni di libertà siano violate. O de jure, cioè con un atto formale, o de facto, come questa».

Quali limiti sono stati superati finora?

«Intanto sono passati più di 5 giorni da quando la detenzione ingiustificata è iniziata, che è un lasso di tempo importante. Poi, si aggiunge il diritto non rispettato a un’assistenza dignitosa che spetta alle persone soccorse in mare e quindi in stato di vulnerabilità.

Sulla base del diritto internazionale, infatti, il place of safety (POS), il porto sicuro, non può essere una nave. Sulla base del diritto internazionale marittimo, il POS deve essere un posto dove le persone possono scendere ed essere identificate. Non è una questione da poco: è importante sapere chi c’è lì in mezzo. Ci possono essere persone da mandare via immediatamente, come ci possono essere invece persone in condizioni di chiedere l’asilo politico. L’identificazione non può avvenire a bordo.

Per me la speranza è che le situazioni si risolvano senza dover intervenire, ma poi a un certo punto mi trovo davanti a un obbligo di legge. E intervengo anche per evitare che il nostro Paese si esponga a rischi internazionali».

Quali rischi corre l’Italia?

«Potrebbe essere soggetta a ricorsi a fori internazionali, sia di Corti europee che di altro genere. Il rischio è che di certe cose, dettate dall’emotività o dalla ricerca del consenso, poi finiremo per doverne rispondere.

La libertà delle persone non può essere qualcosa che costituisce un mezzo di pressione per una richiesta all’Europa. Io non nego che l’Italia abbia le sue ragioni da porre, la mia non è una rivendicazione politica. Dico che, pur a fronte della motivazione più accettabile, non è concepibile mettere in gioco la libertà di 110 persone. Non possono essere il mezzo o lo strumento attraverso il quale affermo la mia posizione politica.

A me non interessa stare a criticare un ministro o una decisione: mi interessa tutelare tanto le persone quanto il Paese, affinché non compia fatti di cui un domani debba poi rispondere».

Rispetto a questo rischio di violare i diritti umani e le convenzioni internazionali, quali sono le criticità dei migranti a bordo?

«Per il momento so che i casi più gravi sono fatti scendere. Sono stati fatti scendere anche 16 minori. Poi uno di loro si è scoperto essere adulto ed è stato fatti risalire sulla nave.

Le condizioni da un lato sono sotto controllo per l’operato della Guardia Costiera, ma dall’altro lato sono assolutamente fuori dai criteri di dignità degli esseri umani. Stiamo parlando di individui salvati in mare che continuano a essere tenuti all’aperto, esposti al sole, nel caldo estivo, con solo una tenda per ripararsi (e un solo bagno, ndr)».

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