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Caso Regeni, i genitori incontrano Luigi Di Maio. Il ministro ritirerà l’ambasciatore italiano in Egitto?

07 Ottobre 2019 - 06:08 OPEN
Il capo politico del Movimento 5 Stelle riceverà i genitori alla Farnesina. Nel 2016 aveva dichiarato che l'Italia avrebbe dovuto avviare delle sanzioni economiche contro il Paese.

Paola Deffendi e Claudio Regeni sono attesi alla Farnesina dove verrano ricevuti oggi 7 ottobre dal ministro degli Esteri Luigi di Maio. Lo scopo dell’incontro è sempre da troppo tempo a questa parte, riassunto nelle tre logoranti parole che dal 2016 – anno della morte del giovane ricercatore in Egitto – continuano a perseguitare i famigliari e conoscenti di Giulio Regeni, e il Paese tutto: «Verità per Regeni».

A oltre tre anni dal suo omicidio – il dottorando italiano dell’Università di Cambridge venne rapito il 25 gennaio del 2016 e fu ritrovato senza vita il 3 febbraio successivo – ancora non sono state chiarite del tutto le circostanze della sua uccisione. Sono stati i servizi segreti egiziani a torturare e uccidere il ragazzo? Quali sono i cognomi e i nomi delle persone coinvolte? La magistratura ancora non è stata in grado stabilirlo con certezza.

I Governi italiani che si sono succeduti da allora – Renzi, Gentiloni, Conte I – non sono mai riusciti ad ottenere la piena cooperazione delle autorità egiziane. Non sono bastati gli sforzi della diplomazia come non sono servite le promesse della politica. Come quella fatta nell’ormai lontano febbraio del 2016 da Luigi di Maio, allora all’opposizione.

Sullo sfondo adesso c’è anche il decreto Di Maio-Bonafede per il rimpatrio dei migranti, firmato anche dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, per accelerare i tempi dei rimpatri. Tra i Paesi “sicuri” inseriti nella lista ci sono il Marocco, l’Algeria e la Tunisia. Mancano all’appello soltanto due paesi nordafricani: la Libia – dove è in atto una Guerra Civile – e l’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi.

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La promessa di Luigi Di Maio

«Il governo dovrebbe minacciare ed eventualmente avviare ritorsioni economiche verso l’Egitto. Giulio era ed è uno dei nostri orgogli nel mondo. Il governo deve andare fino in fondo, lo faccia una volta tanto». Così aveva dichiarato nel 2016 Luigi di Maio. Le sanzioni economiche non ci sono state, quelle politiche e diplomatiche, piuttosto deboli, non hanno avuto un grande esito.

Dopo il ritiro dell’ambasciatore italiano in Egitto Maurizio Massari nell’aprile del 2016, il ministro degli Esteri italiano Angelino Alfano annunciò la decisione di mandare al Cairo un nuovo ambasciatore, Giampaolo Cantini. Cantini rimane attualmente in carica in carica. Nel novembre del 2018, il presidente della Camera Roberto Fico scelse in autonomia di rompere le relazioni diplomatiche con il Parlamento egiziano, nel silenzio generale del governo. L’unico ad esprimersi in merito fu Giuseppe Conte, il quale però precisò di «non conoscere le ragioni della scelta».

Ad inizio settembre – dopo l’incontro di Giuseppe Conte con presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi al margine del G7 di Biarritz e la creazione del nuovo esecutivo – i genitori di Giulio Regeni tornarono sul tema e, rivolgendosi direttamente al neo ministro degli Esteri Di Maio, chiesero di ritirare nuovamente l’ambasciatore: «Ora che ha il potere e la responsabilità di porre in essere quelle conseguenze minacciate nei confronti del governo egiziano – scrissero i genitori.- confidiamo che il ministro vorrà come prima cosa richiamare il nostro ambasciatore e pretendere la verità fino ad oggi nascosta e negata».

Roberto Fico sembra essere d’accordo. Il 1 ottobre, a margine di un incontro all’università di Trieste, il presidente della Camera ha ribadito la necessità dell’impegno italiano nel caso: «Non si può pensare che questa cosa vada a finire in un cassetto degli archivi egiziani. Il nostro Stato deve pretendere verità a qualsiasi costo», aggiungendo che il ritiro dell’ambasciatore «può essere una strada che sarà poi affidata alle valutazioni del governo e del ministro degli Esteri».

A che punto è l’indagine

La vicenda giudiziaria era entrata in una fase di stallo dopo l’iscrizione al registro degli indagati della Procura di Roma, il 4 dicembre 2018, di cinque funzionari dell’Intelligence egiziana. Dopo circa 6 mesi, a maggio del 2019, una nuova testimonianza segnò una svolta nel caso: una persona dall’identità ignota aveva ascoltato un agente della Sicurezza nazionale egiziana, il servizio segreto civile di Al Sisi, mentre raccontava di aver partecipato all’operazione che portò al rapimento di Regeni. Il 3 maggio la procura di Roma ha inoltrato al Cairo una rogatoria in 12 punti con elementi investigativi.

Il 30 aprile l’Assemblea della Camera dei deputati invece ha approvato la proposta di inchiesta parlamentare. Venti deputati indagheranno per 18 mesi, ovvero fino al novembre del 2020, per accertare le responsabilità, i moventi e le circostanze dell’assassinio del ricercatore di 28 anni. La commissione ha gli stessi poteri, ma anche gli stessi limiti, del potere giudiziario. In entrambi i casi sarà fondamentale la cooperazione delle istituzioni egiziane che per il momento, nonostante le promesse di Abdel Fattah al-Sisi, non sembrano dare ascolto all’appello della famiglia Regeni.

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