Manovra, la beffa della tassa sulla plastica, perché sono contrari tutti. Compresi gli ambientalisti

Tutti contro la tassa di 1 euro al chilo per gli imballaggi. Legambiente: «non aiuta alla riconversione»

La tassa sulla plastica potrebbe rivelarsi un boomerang anti-ambientalista per il governo. Annunciata per la prossima legge di Bilancio, prevede un’aliquota di un euro per ogni chilo di imballaggio di plastica, con decorrenza dal 1 giugno 2020.


La paura però è che questa nuova tassa abbia lo stesso effetto di quella imposta sui sacchetti biodegradabili per frutta e verdura. Accompagnata da mille polemica, quella tassa aveva spinto i consumatori a preferire prodotti preconfezionati, quindi con un aumento proprio di imballaggi in plastica, come rivelano i dati Ismea.


La tassa colpirebbe direttamente le imprese, ma indirettamente le famiglie, con l’inevitabile aumento del prezzo dei prodotti. Un rincaro stimato tra i 20 e 100 euro per nucleo familiare.

Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, ha affermato in un’intervista a Repubblica che l’imposta «Serve soltanto a fare cassa: si tratta di una tassa lineare. Non aiuta a riconvertire il settore plastica verso produzioni riciclabili e riutilizzabili e non colpisce il consumo di plastiche non riciclabili». Le proposte di Legambiente per un Green New Deal prevedevano infatti di premiare «innovazione ambientale e efficienza, garantendo il diritto di fruire dei benefici di questi interventi a tutte le fasce della popolazione».

Contro la norma anche i sindacati. «La ventilata ipotesi di una tassa aggiuntiva del 20% metterebbe a rischio il futuro di 50.000 lavoratori e di 2000 imprese» ha affermato Marco Falcinelli, segretario generale della Filctem Cgil: «Non si tratta di difendere gli interessi di un settore ma di evitare un disastro dal punto di vista sociale e produttivo. Il governo deve dotarsi di una seria politica industriale, basta seguire istinti ed emotività!»

Confindustria si unisce al coro dei detrattori della norma, denunciando, in una nota una misura che «non ha finalità ambientali, penalizza i prodotti e non i comportamenti, e rappresenta unicamente un’imposizione diretta a recuperare risorse ponendo ingenti costi a carico di consumatori, lavoratori e imprese».

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