La risposta di Forza Italia al Reddito di cittadinanza, Bernini: «Così per i giovani si può aprire davvero il mercato del lavoro» – L’intervista

«Lo trasformerò in emendamenti alla legge di bilancio chiedendo che una buona parte di quello che è dedicato al reddito di cittadinanza venga speso per fare cose molto più concrete. Chiederò la firma di tutti, i giovani non hanno colore»

«Non è vero che i giovani sono pigri o fancazzisti, sono semplicemente poco motivati. Non credo siano dei fannulloni, credo invece siano in crisi di ruolo. Non sanno che fare, hanno la percezione che una buona parte del loro futuro è stato mangiato dagli errori del passato. E noi politici abbiamo fatto troppo poco per loro». È risoluta la senatrice Anna Maria Bernini, capogruppo di Forza Italia, a poche ore dalla presentazione in Senato del ddl che porta la sua firma sulle giovani generazioni, l’istruzione e l’autoimprenditorialità. «Questo ddl lo trasformerò in emendamenti alla legge di bilancio chiedendo che una buona parte di quello che è dedicato al reddito di cittadinanza venga speso per fare cose molto più concrete: e cioè avviare i giovani al mercato del lavoro. Farli lavorare, ma sul serio».


Senatrice Bernini, il suo ddl è rivolto ai giovani, alla loro formazione e alle prospettive occupazionali. Cosa l’ha spinta a concepire e firmare questo testo?


«È la sublimazione di un’attività che ho svolto per tutta la vita perché ho insegnato all’università fino a che non sono entrata in politica e credo moltissimo in quello che faccio. Credo che i giovani non siano una categoria residuale affetta da sconfittismo e stanchezza cronica. Credo che noi politici abbiamo fatto troppo poco per loro.

Ci siamo riempiti la bocca della parola “giovani” però non abbiamo mai creato un provvedimento strutturato a loro dedicato, con deduzioni, detrazioni, esenzioni fiscali, agevolazioni che sono la cosa più importante per consentire ai giovani di vivere. Abbiamo fatto norme sparse in diversi provvedimenti – a volte quasi per salvarci la coscienza – trattando i giovani un po’ come figli di un dio minore».

Quali sono, a suo avviso, le falle del sistema italiano su cui occorrerebbe intervenire?

«I nostri giovani sono spesso formati in maniera generalista, mentre il mondo del lavoro chiede un’alta specializzazione. Credo inoltre che si laureino troppo anziani. In un mondo che corre velocissimo, in cui uno studente è già pronto per il mercato del lavoro a 20 o 21 anni, i nostri neolaureati sono troppo grandi».

Quali obiettivi si prefigge questo disegno di legge?

«Il modo migliore per intervenire è anzitutto quello di garantire ai giovani un percorso di studi il più possibile attagliato alla domanda del mercato. La prima cosa che noi dobbiamo fare per i giovani è quella di creare un’offerta che corrisponda alla domanda, e questo vale per l’università come per le scuole superiori. Il senso è: formarli meglio, formarli prima, con un’offerta didattica che sia corrispondente al mercato e fare in modo che il baricentro di tutto sia l’autoimprenditorialità».

Cosa differenzia questo disegno di legge dagli altri sulle politiche giovanili?

«Credo che non si sia mai trattata la categoria in maniera completa. I giovani sono sempre stati un aggettivo e mai un sostantivo, in questo provvedimento sono un sostantivo, questo è il primo ddl con una pretesa di completezza.

Da 8 anni, da quando sono entrata in politica, essendo docente di ruolo non posso fare attività didattica. Ma, per esperienza, le posso assicurare che non è vero che i giovani sono pigri o fancazzisti, sono semplicemente poco motivati. Non sanno che fare, hanno la percezione che una buona parte del loro futuro è stato mangiato dagli errori del passato».

Questo disegno di legge è una risposta al reddito di cittadinanza dei 5 Stelle?

«Sì, assolutamente sì, è una risposta attiva a un mondo che cambia ogni giorno. Noi vorremmo sostituire l’imprenditorialità, l’intraprendenza individuale, al sussidio di stato. La nostra filosofia è completamente contraria al reddito di cittadinanza, reddito che è una risposta semplicissima a un problema complesso, un pannicello caldo che non basta.

Il reddito va benissimo per chi ha veramente bisogno, per chi si trova in povertà o non è in grado di lavorare. Ma i giovani che devono essere formati e avviati al mondo del lavoro se vengono sussidiati restano paralizzati. E faranno poi molta fatica a riprendersi da questa paralisi e a rientrare velocemente ed efficacemente su un mercato che è sempre più competitivo».

Che fare dunque per loro? Cosa propone questo ddl?

«Noi abbiamo pensato sostanzialmente a tre strumenti. Il primo è un fondo Erasmus Italia da 50 milioni di euro che noi vorremmo mettere presso il Miur e che consente a chi ha fatto l’università di fare un post graduate e quindi una tesi di ricerca, un master di primo o secondo livello, in materie che fanno corrispondere l’offerta didattica alla domanda, e dunque in materie di ambiente, agroalimentare, biotecnologie, nanotecnologie, meccatronica, informatica, robotica.

Altre misure sono: un fondo per prestiti agevolati perché non tutti si possono permettere un percorso formativo e un fondo start up per i ragazzi che decidono di essere imprenditori di loro stessi in materie legate alle nuove tecnologie».

E le risorse per queste proposte?

«Tutto questo deve partire dall’anno prossimo perché questo ddl lo trasformerò in emendamenti alla legge di bilancio chiedendo che una buona parte di quello che è dedicato al reddito di cittadinanza venga speso per fare cose molto più concrete e cioè avviare i giovani al mercato del lavoro, farli lavorare, ma sul serio. Guardi, mi occorrerebbe pochissimo».

Come mai Forza Italia non si è mai occupata espressamente di giovani e di queste tematiche prima d’ora?

«Io penso che se ne sia occupata però con le modalità con cui se ne sono sempre occupati i legislatori pro tempore. Di provvedimenti sui giovani nel governo Berlusconi io ne ritrovo, così come in altri governi. Ci hanno provato un po’ tutti, ma i tempi ora stanno cambiando il terreno di gioco, ormai si gioca un’altra partita».

C’è nel suo ddl il tentativo di avvicinare un bacino elettorale che ultimamente guarda un po’ più ad altri partiti?

«Sì e no. Certamente mi farebbe piacere che i giovani ci votassero. Ma non ho la pretesa di pensare che attraverso un ddl si lancino verso di noi come se io fossi il pifferaio magico e loro tutti dietro.

Non credo che sia sufficiente un ddl. Credo che siano più importanti i fatti concludenti, politiche attive del lavoro dedicate ai ragazzi che possono scaturire da questo provvedimento. Credo che i giovani adesso abbiano bisogno soprattutto di concretezza».

Nel momento in cui il ddl arriverà in Aula, a quali voti punta oltre a quelli del centrodestra?

«A tutti. Voglio coerenza. Io faccio una proposta che considero la più efficace. Se tutti parlano di giovani, di merito, di lavoro, di far rientrare i cervelli in fuga, questa è una soluzione. Io chiedo a tutti di confrontarsi su quello che ho scritto magari anche proponendo modifiche, ma l’importante è che ci si confronti.

Chiederò la firma di tutti i gruppi parlamentari del Senato. Non deve essere un tema divisivo, i giovani non hanno colore. So benissimo che non sarà facile per questo governo accettare gli emendamenti in legge di bilancio però io li difenderò fino alla fine.

Su 8 miliardi e oltre apportati al reddito di cittadinanza, cosa sono 50 milioni per un fondo che consente ai ragazzi di fare formazione di qualità, di acquisire degli asset che cambiano loro la vita? Non si può dire lo stesso del reddito di cittadinanza, spesa infruttifera, che non funziona, che non alimenta nemmeno i consumi.

E oltretutto non è un passaggio verso il mondo del lavoro perché al momento sono stati trasferiti zero posti di lavoro. I navigator sono diventati dei precari di Stato, e sono gli unici rapporti di quasi lavoro che si possono vedere in questa operazione, ma non basta».

Nel testo del ddl un’ampia sezione è dedicata alla fuga dei cervelli.

«Sì, tutti gli strumenti a cui abbiamo pensato perseguono – oltre alla formazione di qualità e alla corrispondenza dell’offerta alla domanda – anche questo obiettivo. Non dico di non farli andare via – perché io trovo molto utile che loro se ne vadano, e tante volte io ho firmato lettere per farli andare in università straniere – l’importante è che tornino.

Nel testo si parla appunto del brain drain, del drenaggio dei cervelli che partono ma non ritornano. L’idea è quella di riequilibrare il bilancio che è in questo momento è ampiamente passivo. E sotto questo profilo abbiamo previsto degli sgravi fiscali per le imprese pubbliche o private che assumono giovani che si sono formati o qualificati all’estero.

Abbiamo una perdita secca di 8 miliardi all’anno per il fatto di perdere ragazzi che potrebbero lavorare qui. Dunque, è importante farli partire, ma è altrettanto importante che loro ritornino. Non sarà facile ma, guardi, questo è solo l’inizio».

Quale messaggio si sente di dare a un giovane che ha tutto davanti da costruire e si trova disorientato tra percorso di studio, prospettiva occupazionale e sfiducia generalizzata?

«Due consigli. Il primo è quello di guardarsi intorno e capire quali sono le cose che funzionano di più ora, di dedicarsi ad attività e formazioni che siano corrispondenti a quelle che il mercato del lavoro richiede. E dunque: attenzione a non sprecare tempo su formazioni che non corrispondono a reali esigenze del mercato.

Secondo: di approfittare della straordinaria opportunità che ci dà la globalizzazione. Noi ora siamo veramente in contatto con il mondo, bisogna dunque ricordarsi che l’Italia è solo la base di partenza, che c’è tanto di più. Ci sono progetti europei per laureati e diplomati che sono finanziati o cofinanziati dal nostro Paese che consentono di viaggiare tanto e formarsi una competenza che poi tornerà utile per tutta la vita».

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