Il Mes «ruba ai poveri per dare ai ricchi»? No, e tutto è molto più complesso

Abbiamo provato a fare un po’ di chiarezza sulle accuse che circolano attorno Meccanismo Europeo di Stabilità e soprattutto a capire cosa c’entra un trattato europeo con i risparmi della signora Maria

Nelle ultime settimane, il bersaglio delle critiche di Matteo Salvini e dell’opposizione è diventato il Mes, il Meccanismo Europeo di Stabilità, conosciuto anche come «Fondo salva-Stati». Un accordo complesso, molto tecnico, che sta generando parecchia confusione nel dibattito politico. Ecco il titolo che ha dato Salvini a un video pubblicato sulla sua pagina Facebook:

#STOPMES, È UN ATTENTATO ALLA SOVRANITÀ ITALIANA!

Basta vedere il dialogo tra Lucia Borgonzoni, senatrice leghista candidata alla presidenza dell’Emilia-Romagna, e Carlo Calenda, parlamentare europeo e leader di Azione. I due si sono scontrati nella puntata di Piazza Pulita andata in onda la sera del 29 novembre.

Open ha già dedicato un articolo per spiegare tutti i punti del trattato. Potete recuperarlo qui. C’è però una domanda/tesi su cui la propaganda leghista sta puntando in questi giorni: che il trattato sul Mes sia una nemesi dell’eroe britannico Robin Hood. Non pensa ai più deboli ma «ruba ai poveri per dare ai ricchi».

L’accusa è scritta pixel nero su pixel bianco in un post di Salvini, pubblicato sabato 30 novembre: «Da anni la Lega ha una posizione critica nei confronti del Mes, un trattato che chiede ai poveri per dare ai ricchi. Altro che finanziare le banche tedesche, i soldi degli italiani vanno usati per aiutare altri italiani».

È davvero così? Non esattamente.

I risparmi della signora Maria

L’esempio più citato è quello dei risparmi dei pensionati, come dice Salvini nel video pubblicato il 29 novembre: «Il pensionato di Reggio Calabria o Cuneo potrebbe rischiare sul suo risparmio pubblico perché la Deutsche Bank ha dei problemi».

Il meccanismo è un po’ più complesso. Prima di tutto, per «risparmio» qui non si intende tutto quello che è stato messo in banca dai lavoratori italiani, ma soltanto quello che è stato investito in titoli di Stato. Questi sono gli unici che potrebbero essere in qualche modo toccati dal Mes, che non prevede certo prelievi forzosi dai conti correnti.

Il peso dell’Italia e la possibilità di bloccare tutto

Il Mes è un fondo di cui fanno parte 17 dei 19 stati dell’Eurozona, quelli che utilizzano l’euro come moneta corrente. Mancano all’appello Lituania e Lettonia. Ogni Stato contribuisce al fondo in base a due parametri: popolazione e prodotto interno lordo. L’Italia partecipa al Mes con una quota del 17,9%, la terza più alta dopo Germania e Francia, rispettivamente 27,1 % e 20,3%.

Tradotto in miliardi di euro, il nostro Paese garantisce per 125 miliardi di euro i crediti che il Mes può erogare. Numeri che mettono l’Italia in una posizione privilegiata. Per decidere se e come investire i fondi del Mes bisogna infatti avere un parere favorevole dalla maggioranza qualificata dell’85% del capitale. Visto che l’Italia contribuisce per il 17,1% a questo capitale, potrebbe bloccare da sola qualsiasi decisione.

Tutte queste informazioni si trovano nel Trattato di Fondazione del Mes, al link trovate la versione integrale in italiano.

Per capire meglio chi prende le decisioni, basta guardare da chi viene gestito. A capo del Mes c’è il Consiglio dei governatori, un organo formato dai ministri della finanza di tutti gli Stati che ne fanno parte, un consiglio di amministrazione, nominato dal Consiglio dei governatori, e un direttore generale. Il commissario Ue agli Affari economico-monetari e il presidente della Bce partecipano ma non votano: hanno il ruolo di osservatori.

Da dove spuntano le banche tedesche

In tutto questo quale ruolo hanno le banche tedesche? Per capirlo bisogna fare un altro passaggio. Il fondo si chiama Salva-Stati appunto perché serve per garantire un paracadute agli stati in difficoltà dell’Eurozona. Un aiuto che è stato necessario con la crisi greca e che serve a scongiurare il fallimento di un Paese che potrebbe avere conseguenze su tutta la zona euro.

Per questo motivo ci sono due linee di accesso al Mes: il PCCL (Precautionary Conditioned Credit Line) e l’ECCL (Enhanced Conditions Credit Line). Il PCCL serve per gli Stati che hanno un’economia solida che però rischia di essere messa in condizioni critiche dall’economia di altri Stati. L’ECCL invece è per quegli Stati che effettivamente versano in situazioni critiche.

A queste linee di credito, la riforma del Mes di cui si sta parlando nelle ultime settimane ne aggiunge un’altra. In base al nuovo trattato, che dovrebbe essere firmato il 4 dicembre dai ministri delle finanze dell’Eurozona, dal 2024 il Mes potrà prestare anche a un Fondo di risoluzione unico, un fondo, sempre legato all’Unione Europea, nato per finanziare gli istituti bancari che falliscono.

Il Fondo di risoluzione unico può garantire al momento un massimo di 60 miliardi. Il Mes non solo garantirebbe più liquidità ma eviterebbe anche di dover finanziare la banca in fallimento passando dallo Stato, aumentando così il debito pubblico. Ma anche con questo i titoli di Stato dei pensionati italiani hanno poco a che vedere.

E quindi, cosa c’entrano i risparmi della signoria Maria?

In tutti questi meccanismi, in questi passaggi di crediti e garanzie internazionali, che ruolo hanno i risparmi che la signora Maria ha scelto di investire in titoli di Stato? Al momento se uno Stato chiede un salvataggio, l’unico organo incaricato a decidere è la Commissione europea. Con la riforma del Mes invece, anche questo fondo avrebbe un ruolo, e un ruolo importante.

Il Mes infatti deciderà cosa fare insieme alla Commissione europea. Se il fondo deciderà che il Paese non è in grado di rimborsare il prestito, questo non verrà concesso. In questo caso quindi il Paese che ha fatto richiesta del credito dovrà procedere con una ristrutturazione del debito per rientrare nei parametri imposti dal Mes. In pratica, dovrà imporre delle perdite ai creditori, fra cui chi ha investito in titoli di Stato.

Non bisogna dimenticare però che l’Italia, con il suo 17,1% di partecipazione, ha il diritto di veto su qualsiasi decisione presa dal Mes.

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