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Coronavirus, l’infermiera dei giorni neri di Codogno: «Non dimentico. E aspetto ancora l’esito del tampone»

17 Marzo 2020 - 18:17 Fabio Giuffrida
infermiere
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Parla una dei sanitari corsi ad aiutare i colleghi di Codogno: «Ho lavorato per otto notti di fila dalle 7 di sera alle 8 del mattino ma ancora non so se sono positiva»

Michela Gargiulo è una degli infermieri chiamate all’ospedale di Codogno, quel piccolo comune di 15mila abitanti della provincia di Lodi, ritenuto focolaio dell’epidemia del Coronavirus in Italia. E’ arrivata nel lodigiano nei primi giorni dell’emergenza per aiutare i colleghi, stremati, a cui da giorni nessuno voleva dare il cambio. E ora che l’emergenza si è perlomeno ridotta a loro, agli infermieri eroi dei primi giorni, sembra non pensare più nessuno. Per Michela, però, l’emergenza non è finita.

«Ho trovato un delirio, alcuni di loro non smontavano da quattro giorni, io ad esempio ho fatto otto notti di fila, dalle 7 di sera alle 8 del mattino. Sono felice di aver dato una mano al mio Paese ma sono arrabbiata perché nessuno, a distanza di settimane, mi ha comunicato l’esito del mio tampone», racconta pensando a quei giorni.

Open | Michela Gargiulo in ospedale

«Continuo a lavorare ma non so se ho contratto il virus»

«Il 25 febbraio (l’infermiera era arrivata a Codogno il 23, ndr) mi è stato fatto il tampone. Ma da quel momento non ho più avuto risposte. Allo stato attuale non so se sono positiva o negativa, pare che quel test non sia stato mai elaborato. E intanto continuo a lavorare». Michela ci spiega che, dopo essere rimasta dieci giorni all’ospedale di Codogno, è tornata a Milano per svolgere la sua attività di assistenza domiciliare integrata (ADI) da libera professionista.

«Non sento né odori né sapori»

«Io al momento non sento né odori né sapori. Sono preoccupata, anzi sono letteralmente “saltata sulla sedia” dopo aver letto che un medico ha avuto lo stesso sintomo. Per questo, in via precauzionale, ho dovuto prendere misure drastiche in casa» ci dice. «Mangio dal lato opposto della tavola, non dormo più nel mio letto e, quindi, mi sono trasferita sul divano. Ho paura per mio marito e per mio figlio che vivono con me».

Della sua esperienza a Codogno ricorda i colleghi «stremati fisicamente e psicologicamente»: «Nessun supporto psicologico, provavamo a distrarci, a combattere l’ansia e lo stress davanti a un caffè» ammette. A chiedere maggiore attenzione per gli infermieri, da settimane in prima linea nel contrasto al coronavirus, non è la sola: c’è anche Antonio De Palma, infermiere e presidente di Nursing Up (sindacato di categoria) che ne ha parlato anche in un’intervista a Open.

«Restate in casa, troppa gente in giro»

Infine l’infermiera lancia un appello: «L’invito è sempre quello di restare a casa. Non conosciamo bene questo virus e non abbiamo ancora una cura o un vaccino. Poi non capisco come sia possibile che in giro ci sia ancora tutta questa gente, persino gli anziani che si ritrovano per strada a parlare. No, così non va bene. Ho anche chiamato i vigili».

Foto in copertina di repertorio

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