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A Treviso aziende aperte anche con il Coronavirus. E la denuncia arriva dai parenti degli operai

Nell'intera regione le Prefetture sono state intasate da oltre 11mila richieste di deroghe al decreto "Chiudi Italia"

Il Veneto non vuole chiudere per il Coronavirus. Le prefetture della regione sono intasate da richieste di deroga rispetto al decreto “Chiudi Italia” che predispone la chiusura di tutte le attività non indispensabili. È in atto una vera e propria gara per dimostrare che la propria azienda fa parte di una filiera produttiva necessaria, come possono essere le imprese produttrici di pacchetti per la carta stampata o per i supermercati. Soltanto a Treviso il prefetto ha visto arrivare 1.500 richieste di deroga negli ultimi giorni. E nel frattempo parte la caccia ai “furbetti”.

Il caso di Treviso

Nella provincia di Treviso sono 12 le aziende ancora aperte che secondo la Cgil dovrebbero rimanere chiuse. Come scrive La Tribuna di Treviso tra queste si trova un po’ di tutto, come un’azienda produttrice di trivelle, aziende edili e artigiane. Tutte realtà che non sembrano rientrare nella lista di attività indispensabili approvata dal Governo.

Sono peraltro realtà economiche importanti, con numerosi dipendenti, alcuni dei quali si sono rivolti al sindacato per denunciare la mancata chiusura che, con l’epidemia di coronavirus ancora in corso, rischia di moltiplicare i contagi e mettere a repentaglio la loro salute e quella dei loro parenti. Le segnalazioni al sindacato sono arrivate anche dei famigliari dei lavoratori, alcuni dei quali sono in cattive condizioni di salute, mentre molti operai continuano ad andare a lavorare anche per paura di essere identificati come “la talpa” che ha spifferato il segreto al sindacato e alla prefettura.

Nel Veneto più di 11mila richieste di deroghe

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Treviso non è un caso isolato. In un comunicato del 27 marzo il Segretario generale CGIL Veneto ha spiegato che le richieste di deroghe nell’intera regione sono oltre 11mila. «Alcune associazioni datoriali sembrano non comprendere la gravità dell’emergenza sanitaria e i rischi per i lavoratori che – ogni giorno – sono costretti a uscire di casa per garantire la continuità delle attività essenziali per la tenuta del nostro Paese», si legge nel comunicato pubblicato dalla Cgil.

Il timore è che non chiudendo tutto tranne le attività indispensabili si possa far la fine della Lombardia, nonostante la strategia dei tamponi in Veneto abbia ridotto considerevolmente i contagi. «Può apparire paradossale vedere un sindacato che lotta per chiudere le fabbriche, ma – alle drammatiche condizioni date – è l’unico modo per tutelare la salute delle persone che rappresentiamo», continua il segretario Christian Ferrari. «Non averlo capito per tempo in Lombardia, e in particolare nelle province di Bergamo e Brescia – nonostante i ripetuti appelli di Cgil Cisl e Uil – ha avuto un ruolo per nulla trascurabile nel determinare la catastrofe in corso».

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