Coronavirus, un gruppo tessile cinese di Prato produrrà mascherine e camici. L’ad: «Essere civili è questo»

L’attività è guidata da due fratelli, Alessandro Hong, 33 anni, nato in Cina e cresciuto a Prato, e suo fratello Marco, 24 anni, nato a Prato: «Aiutare il prossimo è il punto preciso in cui la civiltà inizia»

Il Gruppo Y.L. Clothing Industry, azienda tessile con sede a Firenze e produzione a Prato, ha convertito le proprie sartorie per correre in aiuto del personale medico durante l’emergenza sanitaria da Coronavirus. Una conversione temporanea: da cappotti e tailleur ad «abbigliamento e accessori tecnico medicali» così come è spiegato sul sito ufficiale con tanto di foto a corredo. L’attività è guidata da due giovani fratelli, Alessandro Hong, 33 anni, nato in Cina e cresciuto a Prato, e suo fratello Marco, che di anni ne ha 24 e che ci è anche nato a Prato. Una città, quella toscana, che ha al suo interno una delle comunità cinesi più gradi d’Italia e che, insieme a Grosseto, registra il minor numero di contagiati: i dati del bollettino ufficiale, due giorni fa, registravano 189 positivi, e tra loro nessun cinese.


L’azienda, spiega Alessandro Hong, amministratore delegato del gruppo «è stata costituita nel 2011, ha 25 dipendenti e possiede una filiera interna che copre tutte le fasi di produzione, dal taglio al cucito, al confezionamento, e anche la logistica». Ora, con l’emergenza Coronavirus, la decisione di convertirla per produrre abbigliamento medicale e dispositivi, ovvero camici e mascherine con protezioni filtranti, realizzate in Tnt – il tessuto non tessuto.


L’attività è anche iscritta alla lista di imprese di abbigliamento a cui la stessa Regione attinge in caso di bisogno di rifornimenti di Dpi. Fa inoltre parte della decina di ditte del tessile pratese che ha ottenuto il via libera alla riconversione dalla prefettura. «A oggi la produzione è di circa 100mila mascherine al giorno, ma l’obiettivo è quello di raddoppiarla nel giro di pochi giorni», spiega Alessandro Hong. «Le prime mascherine e i primi camici – aggiunge – li abbiamo donati alla Protezione civile, dove il materiale medicale iniziava a scarseggiare».

La scelta di convertire e integrare la produzione di abbigliamento, spiega, «è nata da un duplice sentimento: quello di rispondere in tempi velocissimi alle sfide di questo periodo anche a tutela dell’azienda, dei soci, dei collaboratori e dei dipendenti; e poi dal prendere atto del particolare momento della situazione del nostro paese, ritenendo opportuno darsi da fare il più possibile anche nell’ottica di un bene comune. Il mondo – spiega Hong – è un solo paese e i cittadini sono tutti parte dello stesso mondo, aiutare il prossimo è il punto preciso in cui la civiltà inizia. Noi siamo migliori quando siamo in grado di operare nel rispetto della vita di ciascuno. Essere civili è questo».

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