Coronavirus, i rimproveri social del sindaco di Bari Decaro: «Minaccio di chiamare le fidanzate, a certi fanno più paura della polizia» – Video

«Ho pensato come tanti sindaci di continuare a fare ciò che faccio quotidianamente: il sindaco per strada -afferma il primo cittadino del capoluogo pugliese -. Se avessi fatto degli ammonimenti canonici, i miei concittadini non avrebbero capito»

Persino Naomi Campbell, una delle modelle più famose della storia, è rimasta colpita dagli ammonimenti del primo cittadino di Bari. «Listen, America, listen», ha scritto la “venere nera” caricando una raccolta dei rimproveri social fatti da alcuni politici italiani: un monito rivolto agli amministratori statunitensi accusati di aver sottovalutato l’emergenza Coronavirus, almeno nelle fasi iniziali.


Tornando in Italia, il primo gradino del podio in termini di popolarità online se lo contendono il presidente della Campania Vincenzo De Luca e il sindaco del capoluogo pugliese e presidente dell’Anci Antonio Decaro. I loro discorsi ai cittadini sono diventati dei veri tormentoni della quarantena nazionale. «Non faccio le ronde – sostiene però il sindaco barese -, non fa parte della mia cultura fare lo sceriffo e non ho nemmeno il fisico adeguato».


Sindaco, sono arrivate anche negli Stati Uniti le immagini dei rimproveri fatti in giro per la città.

«Ho pensato come tanti sindaci di continuare a fare ciò che faccio quotidianamente: il sindaco per strada. L’ho sentita come una necessità, non c’è una strategia politica alle spalle».

Non è un compito, quello di vigilare, che spetta alle forze dell’ordine?

«Certo, infatti ho incrementato i controlli della polizia locale, ho chiesto interventi delle altre forze dell’ordine, polizia, guardia di finanza, carabinieri. Abbiamo allargato lo spettro dei controlli chiedendo l’aiuto dei vigili del fuoco, dell’esercito in alcune zone della città. Utilizziamo anche i droni per far capire ai cittadini che i controlli sono serrati».

Allora come mai ha pubblicato sui social i video dei suoi rimproveri?

«Mi sono arrivate chiamate di cittadini nelle quali mi segnalavano che alcune persone continuavano a uscire di casa e che non c’erano abbastanza controlli. Sono andato personalmente e ho pubblicato i video così da un lato spiegavo a chi era in giro l’importanza di stare a casa per interrompere il contagio, dall’altro ho potuto mostrare ai cittadini che i controlli ci sono».

Non ha il timore di spaventare i suoi concittadini passando per il controllore che non vuole sentire spiegazioni?

«La comunicazione di un sindaco è molto complicata in questo momento, perché sei il padre di una famiglia, di un’ampia famiglia che è la tua comunità: devi utilizzare la testa per cercare di fare i controlli per convincere tante più persone a stare a casa, ma devi utilizzare anche il cuore perché tutti hanno bisogno di una persona che ti possa rassicurare».

Anche il ruolo del sindaco è stato stravolto dall’emergenza sanitaria.

«Il sindaco è il custode delle preoccupazioni e delle angosce dei cittadini, ma è anche il custode delle aspirazioni, della voglia di poter tornare a fare gesti normali dei quali, oggi, sentiamo la mancanza: magari nel passato abbiamo sottovalutato la stretta di mano, l’abbraccio. Proprio nel momento in cui ne abbiamo più bisogno, quei gesti naturali non li possiamo fare perché dobbiamo mantenere la distanza sociale, sembra assurdo, anche a casa. Dobbiamo capire e accettare le restrizioni, perché con quelle restrizioni interrompiamo la catena del contagio. Noi siamo la causa del contagio: attraverso il nostro corpo il virus si sposta da una persona all’altra. Ma se manteniamo la distanza, da causa diventiamo soluzione al problema».

I video dei suoi ammonimenti hanno spopolato sul web anche per via del linguaggio poco istituzionale utilizzato, era necessario?

«Se avessi fatto dei rimproveri canonici, istituzionali, i miei concittadini non avrebbero capito. Nei video si nota che, a seconda della persona che avevo di fronte, utilizzavo un linguaggio consono per far passare il messaggio; quando dico “le fidanzate devo chiamare e ve le devono dare alle gambe con le mazze”, mi rivolgo a persone per le quali dire “vi mando la polizia” non sortisce effetto. Sono persone che si sono fatte 10 anni di carcere e vivono in una società, quella della città vecchia, ancora matriarcale: sono le mamme, le mogli, le fidanzate a tenere in piedi il nucleo familiare perché hanno imparato a gestire l’economia domestica durante il periodo di carcere degli uomini. È un tipo di società dove spaventa più la reazione della moglie che un controllo di carabinieri e polizia».

L’ultimo rimprovero social è quello rivolto all’uomo che stava pescando tra gli scogli sul lungomare.

«Un classico, l’abbiamo beccato l’altro giorno. Gli ho chiesto: “Dove stai andando? Qual è la motivazione per la quale sei uscito di casa?”. E mi ha risposto: “Sto andando a fare le pelose”. Le pelose sono dei granchi particolari che si utilizzano per fare il sugo oppure come esca per pescare i polpi, uno dei prodotti ittici più consumati a Bari. La polizia locale era molto dispiaciuta nel fargli la multa, ma il signore era uscito con una motivazione che non era compatibile con le restrizioni previste dal decreto».

Sindaco, glielo chiedo in quanto osservatore privilegiato delle varie realtà comunali visto il suo ruolo da presidente dell’Anci. Per lei è prematuro parlare di riaperture?

«Ho una mia posizione e anche una mia opinione a riguardo, ma dall’inizio ho pensato che sia giusto non esprimerla perché, altrimenti, sarebbe come vivere in un talk show. Questo non è un talk show, è la realtà: le camionette dell’esercito con le bare a Bergamo, la situazione negli ospedali di Brescia sono cose reali. Penso sia giusto che le indicazioni sulle riaperture arrivino da una cabina di regia centrale. Oggi la mia opinione potrebbe essere utilizzata la mia opinione solo per fare polemica: piano piano le maglie delle restrizioni si allargheranno, come successo a Codogno una volta superato il picco».

Alcuni sindaci hanno avuto opinioni diverse dal governo, o anticipando le restrizioni con delle ordinanze oppure permettendo qualche libertà in più come ha fatto Dario Nardella a Firenze, il primo a consentire “l’ora d’aria” per i bambini.

«In realtà noi sindaci abbiamo fatto una scelta coraggiosa all’inizio della pandemia: siamo andati dal governo e abbiamo detto: “Noi vi cediamo un pezzo del nostro potere, ovvero rinunciamo al potere di ordinanza sanitaria previsto dall’art. 50 del TUEL, per tutto ciò che riguarda la questione del Coronavirus”. Abbiamo chiesto di sterilizzare quel potere di ordinanza proprio per evitare che ogni sindaco si organizzasse in autonomia: provate a immaginare cosa poteva succedere con 8.000 sindaci che si mettevano a fare ordinanze diverse. È giusto che sia una cabina di regia nazionale, dove c’è il governo, la Protezione civile e le autorità sanitarie, a decidere quando vanno aumentate o sciolte le restrizioni. Ciascun sindaco può ancora fare dei provvedimenti amministrativi o ordinanze che servono più da chiarimento rispetto alle restrizioni nazionali».

Qual è la priorità di un sindaco in questo momento?

«Oggi la priorità è dare la possibilità a tutti di poter sfamare i propri figli. Ci sono famiglie che erano già fragili e ci sono famiglie che sono diventate fragili perché non si lavora da un mese. Abbiamo iniziato da diverso tempo ad ampliare il sostegno che diamo quotidianamente alle famiglie in difficoltà: lo stiamo facendo con le poche risorse comunali e, per fortuna, con le risorse che arrivano grazie alla solidarietà di tante aziende, associazioni e singoli cittadini. Abbiamo anche i 400 milioni di euro arrivati dallo Stato, ma basteranno solo per qualche settimana. Sono risorse importanti se paragonate al taglio di 564 milioni di euro che hanno subito le casse comunali. Ma in questo momento dobbiamo ragionare in miliardi di euro, non in milioni: i bilanci comunali si sostengono con le tasse e le imposte che, con questa crisi, non tutti i cittadini riusciranno a versare nei prossimi mesi».

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