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Ospedale Fiera Milano, dopo un mese solo 10 pazienti e 250 sanitari. Tutto quel che non torna nella «grande opera lombarda» contro il Coronavirus

L'Ospedale in Fiera è stato o no un progetto inutile? I sanitari a lavoro sono troppi o troppo pochi rispetto ai pazienti ricoverati? E questi pazienti, da dove vengono?

Visto dalla metro di Portello, il nuovo ospedale di Fiera Milano sembra una cattedrale nel deserto. Voluto insistentemente dalla giunta regionale di Attilio Fontana e presentato come soluzione lampo al sovraccarico degli ospedali in piena emergenza Coronavirus, ospita a oggi, 25 aprile, solo 10 pazienti. E nei giorni in cui la curva dei contagi, dei ricoveri e delle terapie intensive inizia finalmente la sua discesa, le domande sull’effettiva utilità della struttura si moltiplicano. Come noto, i contributi privati raccolti (e dichiarati) per la realizzazione della struttura sono oltre 21 milioni. A fine marzo erano pronti i primi 53 posti letto collocati negli 8 moduli costruiti nella prima fase. Il 12 aprile, come da programma, sono finiti i lavori della seconda fase – quella progettata per ospitare fino a 104 pazienti in terapia intensiva e subintensiva. Ma le varie tornate di malati Covid-19 annunciate a voci alterne da Fontana, da Giulio Gallera e dal direttore del Policlinico Ezio Belleri, non sono mai arrivate.

Video credits: Giada Ferraglioni per Open|Ospedale Fiera Milano, 31 marzo 2020

Perché? Le ipotesi che iniziavano a farsi strada (mancanza di personale, assenza di macchinari) sono state gelate da una frase sfuggita a Gallera lo scorso 15 aprile, durante la conferenza stampa della Regione: «L’ospedale in Fiera – diceva con nonchalance – fortunatamente non è servito a ricoverare centinaia di persone». Scoppiate immediatamente le polemiche, Fontana era arrivato in soccorso del suo assessore al Welfare. Non erano certo soldi buttati, aveva detto il presidente, e anzi l’ospedale «potrà essere utile per il futuro», anche se «mi auguro non debba mai servire». Anche il commissario Guido Bertolaso era intervenuto con un video: “la grande opera lombarda” poteva essere utilizzata «per la fase 2 e la fase 3». Ma se dopo l’emergenza la struttura verrà o meno smantellata, questo resta ancora un’incognita.

Dubbi sull’alternativa scartata

ANSA/Mourad Balti Touati | Fabrizio Sala alla conferenza stampa di presentazione di Ospedalefieramilano a Milano, 31 marzo 2020

Tante le domande, poche le risposte. In primis alla stampa, che rincorre assessori e sanitari per cercare di capire il presente e il futuro dell’ospedale, la cui costruzione è stata affidata lo scorso 10 marzo a Bertolaso – nominato ad hoc dopo le reticenze della Protezione Civile. Ma poche risposte anche al Consiglio regionale, dove alcuni rappresentanti dell’opposizione, che ne hanno fatto richiesta, non siano ancora riusciti a visionare l’ormai fantomatica relazione tecnica dell’Asst Ovest Milano. Quella, per intenderci, che esclude l’ipotesi di investire sulle vecchie strutture in disuso dell’Ospedale di Legnano. Già perché appunto, la giunta ha sempre detto di aver preferito costruire una nuova struttura perché ristrutturare un vecchio ospedale, come quello di Legnano, avrebbe richiesto troppo tempo. Nulla si sa anche dei criteri con cui vengono spostati qui i pazienti: Il 21 aprile, è stata bocciata in Consiglio anche la richiesta di rendere trasparenti i criteri di trasferimento dalle varie strutture ospedaliere alla Fiera.

Chi sono (e quanti) i sanitari a lavoro?

Stando alle fonti interne al Policlinico – l’ente che ha preso in carico sia la gestione della struttura sia il reclutamento dei sanitari – al lavoro ci sarebbero tra i 250 e i 300 sanitari. Ogni due pazienti ci sono 2 medici anestesisti e 5 infermieri, uniti a radiologi, tecnici per i tamponi, i sanitari addetti alle analisi, gli operatori sociosanitari, gli addetti al recupero dei farmaci. In totale, ogni due lettini sono a lavoro circa 50 sanitari spalmati su tre turni. Tanto? Poco? In Italia, il rapporto fra numero di pazienti ospitati in terapia intensiva e medici specializzati non è definito in maniera standard a livello nazionale. La decisione rientra infatti nelle competenze delle Regioni, che, a loro volta, delegano alle singole aziende la gestione del personale. Stando agli standard disposti nell’articolo 3 del decreto ministeriale 13/9/1988, comunque, per le terapie intensive l’ideale sarebbe avere 24 infermieri e 12 medici a lavoro su 8 posti letto.

Una situazione non anomala dunque, almeno in una situazione non emergenziale quale può essere una pandemia. Ma che sembra essere più che rosea se si considera la scarsità di personale denunciata più volte dalle varie Federazioni (e anche prima, in verità, a causa dei tagli alla Sanità). Lo stesso Coordinamento regionale Ordini Professioni Infermieristiche Lombardia aveva diffuso un comunicato a fine marzo per denunciare la grave insufficienza di personale con cui si stava facendo fronte negli ospedali all’esplosione dei ricoveri.

Screen dal documento del Coordinamento regionale degli ordini delle professioni infermieristiche della Lombardia, province di Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Mantova, Milano-Lodi-Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese

Da quanto fanno sapere dal Policlinico, in Fiera l’80% degli impiegati sono operatori interni al Policlinico, mentre il restante 20% è stato reclutato attraverso manifestazioni di interesse di carattere regionale (ad esempio QUESTO della Lombardia). Una scelta dettata anche da un’ulteriore difficoltà: non è facile trovare infermieri e sanitari preparati a tal punto da poter gestire delle terapie intensive in piena emergenza Covid-19. E proprio la tempistica che ci sarebbe voluta per preparare inesperti ad affrontare una crisi del genere avrebbe allungato ancora di più i tempi. Una preoccupazione che era stata condivisa con la stampa dallo stesso Nino Stocchetti, coordinatore clinico dei padiglioni in Fiera. La Cooperativa Osa, che si stava occupando di reclutare personale infermieristico sul territorio, ha fatto sapere che sono state moltissime le domande di «neolaureati senza tirocinio» che hanno fatto richiesta per poter operare in Fiera Milano.

Contattato da Open per avere notizie su come si sta sviluppando l’attività sanitaria nell’Ospedale e su chi sono effettivamente i sanitari reclutati, Stocchetti ha preferito non concedere interviste. «Sono piuttosto impegnato dal lavoro clinico – ha fatto sapere – e non riesco a ritagliare tempo per altre attività». E così gli altri medici, infermieri e operatori attualmente al lavoro. Dal Policlinico fanno sapere che le richieste di interviste sono molte, ma nessuno se la sente di rilasciare dichiarazioni.

Chi sono i pazienti ricoverati?

Chi sono i pazienti attualmente ricoverati in Fiera? Nuovi malati gravi o terapie intensive in trasferimento dagli altri ospedali del territorio? Sembra più probabile la seconda ipotesi: come si apprende da fonti interne al Policlinico, dei 10 pazienti attualmente presenti, 3 provengono da strutture del Milanese, 6 da strutture della Brianza e 1 dal Varesotto. Altri tre pazienti precedentemente dimessi provenivano 1 dal milanese e 2 dalla Brianza. L’Unità di crisi regionale, però, non comunica «per ragioni di privacy» da quali strutture precise provengano. Il dato non è secondario: sono ospedali in sofferenza oppure no? Qual è il criterio di trasferimento? Tutte domande che a oggi non trovano risposta, nemmeno dopo che il consigliere della Regione (e medico) Michele Usuelli, ha proposto in Consiglio un emendamento per rendere più chiara la ragione dietro ai trasferimenti.

Secondo Usuelli, tra l’altro, alcuni medici avrebbero denunciato ordini di trasferimento senza che vi fosse l’effettiva necessità, dato che gli ospedali di provenienza non erano affatto saturi. «Le uniche direttive sono quelle delle sanzioni disciplinari – ha raccontato il consigliere – e i colleghi che mi hanno parlato sono terrorizzati di essere scoperti». «Questa roba è talmente grossa – dice – che anche il primario del San Raffaele Alberto Zangrillo (che in un’intervista a Repubblica aveva definito «inutile e tardivo» l’ospedale in Fiera,ndR) si è sentito di dover tornare sulle sue parole».

La questione dell’Ospedale di Legnano

Certo, col senno di poi, decidere è molto più facile. Nessuno poteva sapere quali sarebbero state le tempistiche dell’emergenza. Ma le incognite sulla relazione tecnica richiesta dalla giunta Lombarda per valutare le tempistiche necessarie alla ristrutturazione di Legnano picchiettano ancora sulle teste di molti. Le voci che girano (su tutte quelle di Usuelli di +Europa e del pentastellato Riccardo Olgiati) parlano di un’analisi letta o stilata a metà: sarebbe stata presa in considerazione solo la ristrutturazione del monoblocco, l’edificio più fatiscente del complesso, e non quella di tutti gli altri edifici.

Le ragioni di Legnano

I sanitari dell’Adl Cobas che operano a Legnano, e che un mese fa avevano inviato una lettera alla Regione per promuovere la ristrutturazione di Legnano invece della costruzione ex novo dei padiglioni di Portello, sono rimasti della stessa idea. «Si poteva allestire un ospedale vero, con tutti i meccanismi dell’ospedale», dice Riccardo Germani, operatore di Legnano, primo firmatario della lettera e protavoce Adl Cobas. «Lo si poteva fare in pochissimo tempo e spendendo una cifra irrisoria rispetto a quello che è stato speso: ci sono palazzine nuove e completamente ristrutturate che non sono state riutilizzate con posti letto pronte, come l’ex pediatria, l’ex ginecologia e l’ex riabilitazione, ora usate per gli uffici ma con diverse centinaia di posti letto disponibili».

Fonti dalla commissione sanità della Regione chiariscono di rimando che, oltre al monoblocco totalmente inagibile, le palazzine sono in ristrutturazione per il progetto della Cittadella della Fragilità. Spiegano che sì, ci sono altri ambulatori e uffici, ma che sono «sprovvisti di condotte per ossigeno e gas medicali». La Regione pare avere pochi dubbi: «Sistemare il vecchio di Legnano significa aspettare almeno sei mesi e investire molti soldi in più». Ma a oggi, nonostante le richieste, la relazione non è ancora stata visionata da Open.

Foto copertina: Giada Ferraglioni per Open | Modulo 4 dell’Ospedale di Fiera Milano

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