Inchiesta Alzano e Nembro, Conte alla pm: «La decisione di non chiudere è stata mia»

Il premier ha rivendicato la responsabilità della decisione finale. Mettendo a verbale i motivi che l’hanno spinto in questa direzione

Quattro ore di audizione per spiegare «nei dettagli», come ha detto lui stesso, come sono andate le cose sull’asse tra Roma e l’area di Alzano Lombardo e Nembro, quando l’emergenza Coronavirus imperversava e l’intera regione Lombardia è stata proclamata zona arancione.


A fine giornata, il presidente del consiglio Giuseppe Conte sembra soddisfatto della versione dei fatti fornita alla procuratrice reggente di Bergamo, Maria Cristina Rota e diffonde un appunto in cui dice che «ogni passaggio è stato chiarito e ricostruito nei minimi dettagli».


Anche la pm, uscendo da palazzo Chigi dopo aver ascoltato sia lui sia il ministro della Salute Roberto Speranza e quello dell’Interno Luciana Lamorgese sembra aver aperto perlomeno ad un allargamento delle responsabilità sulla mancata istituzione di una zona rossa ad Alzano e Nembro.

A determinare il cambiamento di scenario sarebbe stato soprattutto un punto tra quelli affrontati da Conte. La scelta di rivendicare completamente a se la decisione di non proclamare zona rossa Alzano Lombardo e Nembro: «Posto che la Regione avrebbe potuto agire diversamente, l’ultima parola sulla scelta di non istituire una zona rossa Alzano e Nembro è stata mia e di nessun altro. Me ne assumo ogni responsabilità ma penso anche che sia stata la decisione più giusta in quel momento», ha detto Conte.

Tra il 3 marzo, quando il Comitato tecnico scientifico gli aveva sottoposto per la prima volta la proposta di bloccare l’accesso alle due cittadine e la notte tra il 7 e l’8 marzo quando ha proclamato in tutta la Lombardia la zona arancione sono accadute alcune cose, è il racconto del premier: «Abbiamo rapidamente verificato che la situazione che ci si presentava era molto diversa da quella trovata a Codogno, dove abbiamo istituito una zona rossa senza difficoltà». Nel momento in cui il focolaio di Alzano e Nembro è stato rintracciato, il numero di contagi era già alto, più di quanto non fosse a Codogno al momento del lockdown.

Non solo: «Dal punto di vista geografico abbiamo verificato che isolare Alzano e Nembro dai paesi circostanti sarebbe stato particolarmente difficile, quasi impossibile. In quell’area tra paese e paese non c’è soluzione di continuità». A dividere Alzano da paesi come Ranica o Villa di Serio è semplicemente un cartello, con case praticamente attaccate le une alle altre. Pattugliare i confini di questi paesi sarebbe stato impossibile e forse inutile. Insomma, due fattori che hanno spinto il premier a soprassedere e a spostare i militari che il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese aveva fatto dislocare in zona, per poi ritirarli.

È presto per dire se basterà questa versione dei fatti a convincere la procuratrice Rota a non procedere contro il governo Conte, anche se ieri pomeriggio a palazzo Chigi si respirava un certo ottimismo.

I filoni di indagine, in ogni caso sono tanti e non è detto che non finiscano per riportare a Roma. La procura sta anche verificando chi doveva dare indicazioni chiare agli ospedali locali sui protocolli da seguire nel caso di una pandemia grave come questa. Sarebbe invece accertato che la scelta di chiudere i nosocomi avrebbe dovuto ricadere esclusivamente sulla Regione, competente in materia sanitaria.

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