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La missione europea di Conte, perché da oggi si rischia di cambiare in peggio il Recovery fund

08 Luglio 2020 - 11:33 Federico Bosco
La missione europea di Giuseppe Conte e le prospettive per il Consiglio europeo di metà luglio. Superata la fase acuta della crisi pandemica, l’Unione europea torna alle solite divergenze

Agenda fitta per il premier Giuseppe Conte: ieri 7 luglio è stato in Portogallo per incontrare l’omologo Antonio Costa, oggi sarà in Spagna per incontrare Pedro Sanchez. Dopodiché, concluso il tour iberico e tornato a Roma, venerdì ripartirà per i Paesi Bassi dove incontrerà Mark Rutte, premier olandese ma anche leader dell’alleanza informale dei “quattro frugali” (il suo paese più Austria, Danimarca, Svezia).

Infine, il tour europeo si concluderà lunedì in Germania per un bilaterale con Angela Merkel, con un probabile incontro – ancora da confermare – con Emmanuel Macron, in Francia. Quello di Conte ha tutta l’aria di essere un viaggio decisivo per il destino del suo governo e dell’Italia, l’obiettivo è costruire alleanze e rassicurare i partner europei sulla strategia italiana per affrontare una crisi economica dai tratti sempre più asimmetrici. 

Conte non è l’unico a muoversi. Oggi a Bruxelles si svolgerà un incontro tra la Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel e il Presidente dell’Europarlamento David Sassoli con Angela Merkel. L’obiettivo condiviso da tutti, ad eccezione dei quattro frugali, è fare in modo che il Recovery Fund resti fedele alla proposta della Commissione: 750 miliardi di euro, di cui 500 in prestiti (loans) e 250 in trasferimenti a fondo perduto (grants).

La porzione più grande di aiuti è destinata proprio all’Italia, Paese contributore netto, ma profondamente colpito dalla pandemia. L’obiettivo dichiarato di Merkel e von der Leyen è trovare un’intesa entro luglio, se non nel Consiglio del 17-18 in un vertice straordinario da organizzare a stretto giro, ma sono loro stesse ad ammettere che sarà difficile. 

La posizione dei frugali

Quando il 27 maggio Francia, Germania e Commissione europea proposero un fondo per il rilancio europeo si è parlato di una svolta nell’architettura europea, un mese dopo, quell’atmosfera si è drasticamente ridimensionata, e l’UE è tornata alla solita discussione tra cicale e formiche. La volontà dei frugali è ridurre il fondo da 750 a 500 miliardi (la proposta iniziale di Merkel-Macron), solo prestiti e nessuno trasferimento a fondo perduto.

Un compromesso raggiungibile è un fondo di 500 miliardi con un rapporto e prestiti/trasferimenti simile alla proposta iniziale della Commissione. Per esempio, un fondo di 500 miliardi potrebbe mantenere il rapporto 1:2 ed essere suddiviso in 165 miliardi di prestiti e 335 di trasferimenti. Altrimenti, la somma iniziale di 750 miliardi potrebbe restare intatta modificandone il rapporto in favore dei prestiti. 

Il nodo delle riforme strutturali

Il negoziato non è limitato esclusivamente alla somma da destinare al fondo, a rendere più complicato il compromesso c’è anche la questione riforme. L’erogazione dei fondi dovrà essere legata a piani di riforme, con proposte dei governi nazionali da confermare in sede comunitaria. Collegare finanziamenti e trasferimenti all’attuazione delle riforme però non è semplice.

Per esempio, una cosa è dire che l’Italia deve fare delle riforme, un’altra è passare all’atto pratico e vincolare le tranche di trasferimenti all’attuazione dei provvedimenti legislativi per metterle in pratica. Se il dibattito sul Mes sanitario è così litigioso, figuriamoci cosa succederebbe se si arrivasse a una discussione in questi termini. Inoltre, al momento non si può certo dire che in Italia si stiano immaginando riforme in sintonia con quelle nella testa dei falchi tedeschi o dei paesi frugali.

Lunedì il premier greco Kyriakos Mitsotakis ha fatto sapere con un’intervista al Financial Times che la Grecia non accetterà un Recovery Fund con condizionalità in stile troika. L’economia greca stava appena riemergendo dopo anni di politiche di salvataggio, ora si trova bruscamente frenata dal Coronavirus. Il paese ha evitato una crisi sanitaria, ma con l’impatto della pandemia sul turismo potrebbe avere un calo del Pil del 10%. Adesso ad Atene non hanno nessuna intenzione di sottoporsi ad un altro round di riforme imposte. 

Anche questo è un elemento che renderà il negoziato molto più lungo e complicato di quanto sperato. Un compromesso realistico è stabilire nel Consiglio europeo di luglio la somma destinata al bilancio suppletivo, e rimandare il resto a dopo l’estate. Per il governo italiano sarebbe comunque una doccia fredda, emergerebbe fin da subito che il piano ambizioso e solidale è sia meno ambizioso del previsto che meno solidale di quanto sperato.

Il ruolo di Angela Merkel

Un fattore che rende tutti più ottimisti è il peso della presidenza tedesca dell’Unione, ci si aspetta che Angela Merkel, giunta al momento di lasciare un’eredità storica, faccia qualcosa di straordinario. Sono in tanti a vedere Merkel l’ultimo baluardo della democrazia liberale occidentale, in contrapposizione al presidente americano Donald Trump e Vladimir Putin, e non solo. 

Tanta stima è ben riposta, Merkel è una cancelliera straordinaria e tutti vogliono che abbia successo, ma non bisogna sovraccaricare la sua figura con aspettative che non competono alla sua sfera di influenza politica.  La Cancelliera è in carica da 15 anni grazie a una straordinaria capacità di mantenere il compromesso all’interno della politica tedesca, non è la presidente dell’Unione europea, non ha questo potere. Da leader del paese più importante farà il necessario per mandare avanti l’eurozona, ma niente di più. 

La Germania non ha intenzione di farsi carico del destino dell’Europa, la base giuridica del Recovery Fund chiarisce che si tratta di un’emergenza, renderlo strutturale richiede un cambio dei Trattati e né la Merkel, né tantomeno i falchi del suo partito e i paesi frugali hanno intenzione di cambiarli. in favore di un’unione dei trasferimenti. 

Anche i leader tedeschi e degli altri paesi devono rispondere alla propria opinione pubblica, e raggiungere compromessi nei in parlamento. Se la politica italiana cerca soluzioni, deve trovarle al suo interno con decisioni concrete, e costruire nel Paese il consenso necessario a portarle avanti: non saranno Angela Merkel, Emmanuel Macron o chiunque altro a risolvere i problemi italiani ed europei. 

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