Usa, la stretta di Trump sugli studenti stranieri. Gabriele, dottorando ad Harvard: «L’incertezza a pochi mesi dalla fine»

Gabriele Librandi studia dal 2015 ad Harvard, dove sta svolgendo un dottorato in Ingegneria meccanica e dei materiali. A Open parla della paura di dover lasciare tutto dopo l’ultimo ordine del presidente americano

L’epidemia da Coronavirus negli Stati Uniti ha superato i 3 milioni di casi. Sotto i riflettori per una gestione sconsiderata della crisi sanitaria, Donald Trump ha spostato la sua attenzione sulle scuole e le università. Per contenere la diffusione del contagio lunedì l’agenzia per l’immigrazione (ICE) ha annunciato che gli studenti internazionali le cui università offriranno solo corsi online il prossimo semestre non potranno rimanere nel Paese. Le scelte sono due: trasferirsi in un’istituto che offra corsi in presenza o lasciare il Paese. In caso contrario, lo studente potrebbe subire sanzioni.


«Per molti dei nostri studenti internazionali, studiare negli Stati Uniti e studiare ad Harvard è la realizzazione di un sogno», ha scritto in una lettera il presidente della prestigiosa università del Massachusetts che insieme al MIT ha deciso di fare causa alla Corte federale contro la decisione del presidente americano. «L’annuncio dell’amministrazione Trump sconvolge la vita dei nostri studenti internazionali e mette a repentaglio il loro successo accademico», affermano le due università. Il presidente di Harvard Lawrence Bacow ha definito la decisione «crudele» e «incosciente».


Gli studenti stranieri possono entrare negli Stati Uniti con un visto di studio F1 o M1 per quei corsi non accademici, ma vocazionali, come corsi di cinema, pilotaggio, danza. «Ho iniziato il mio PhD ad Harvard in Ingegneria Meccanica e dei Materiali nel 2015», dice a Open Gabriele Librandi, 31enne romano. Prima la laurea in ingegneria aerospaziale alla Sapienza, poi un master alla New York University. Dopo due anni di lavoro nel Regno Unito alla Rolls Royce Librandi è approdato a Boston con un contratto da ricercatore.

Gabriele Librandi

«L’ordine del governo è insensato. E non si capisce come andrà a influire su chi sta facendo un dottorato», dice Librandi, soprattutto perché se la discriminante è quella dei corsi, lui e molti altri dottorandi «li hanno terminati da tempo».

Nel fare piani per l’autunno, Harvard, come molte altre istituzioni, ha cercato di bilanciare le preoccupazioni per la salute pubblica e lo status degli studenti internazionali con un’attenta pianificazione accademica. «Lo abbiamo fatto riconoscendo che la nazione è in preda a una pandemia che mette a rischio la salute di milioni e che minaccia di sopraffare la nostra capacità di gestirla. Riteniamo che l’ordine dell’ICE sia una cattiva politica pubblica e illegale», scrive il rettore dell’Università.

«L’impatto su chi fa ricerca non è chiaro – aggiunge però Librandi -. C’è l’incertezza – come nel mio caso – di dover interrompere un percorso a 3-4 mesi dalla sua fine». E dopo la notizia sulla possibile espulsione di 350mila studenti cinesi a preoccupare è soprattutto un clima in cui «non ci sentiamo benvenuti. È anche un cosa psicologica che non ci permette di continuare a concentrarci sulla ricerca»

Ma l’università di Harvard non vuole lasciare indietro i suoi alunni e promette battaglia: «Non resteremo in attesa di vedere i sogni dei nostri studenti internazionali estinti da un ordine profondamente fuorviato. Lo dobbiamo a loro per alzarsi e combattere – e lo faremo».

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