Coronavirus in Lombardia, «assalto multiplo da due ceppi diversi»: lo studio di Niguarda e San Matteo

Lo studio italiano, primo al mondo per numeri di casi esaminati, fotografa 346 tamponi in tutte le 12 province della Lombardia

Un assalto multiplo come «tanti carri armati che attaccano da più parti, provenienti da due famiglie differenti di Covid-19». Il professor Carlo Federico Perno, direttore della Medicina di laboratorio del Niguarda di Milano, descrive così i risultati dello studio su SARS-Cov-2 condotto insieme al Policlinico San Matteo di Pavia e promosso dalla Fondazione Cariplo. L’analisi sul Coronavirus, senza precedenti al mondo per ampiezza di casi considerati – 350 in tutta la Lombardia – esamina 346 tamponi in tutte le 12 province della regione dal 22 di febbraio.


I due ceppi in Lombardia già da gennaio

«Due linee di trasmissione sviluppatesi una a Nord e l’altra a Sud della Lombardia contemporaneamente». Perno spiega come la diffusione dell’unico ceppo del virus sia stata caratterizzato da due sottofamiglie differenti e come queste inizialmente siano state confuse con i sintomi influenzali.


«Le due masse virali hanno coinvolto rispettivamente la zona del lodigiano e del bergamasco. Un attacco simultaneo che non è stato riconosciuto subito per due motivi: la Cina ha parlato del problema solo a dicembre; gennaio e febbraio sono i classici mesi in cui si riscontra il picco di influenza. Il virus si è nascosto ed è stato coperto dalla concomitante infezione influenzale. Se scoppiasse ora, in estate, un focolaio di polmonite, ce ne accorgeremmo subito» spiega poi il professor Fausto Baldanti, Responsabile del Laboratorio Virologia Molecolare del San Matteo di Pavia.

Lo studio del Niguarda e del San Matteo afferma con certezza che il virus fosse presente in Lombardia almeno da metà gennaio, come dimostra la presenza di cinque persone risultate con anticorpi nella zona di Lodi a metà febbraio. «Quando è stato scoperto il paziente di Codogno il virus era praticamente già presente in tutta la Lombardia» dichiara il prof. Perno.

«Un virus poco variabile»

Un altro dato importante, soprattutto per il futuro, è l’effettiva efficacia di un vaccino per potersi difendere dal virus. «Possiamo dire che il virus è omogeneo, abbiamo trovato solo 7 tipologie di variazioni del genoma su circa 30.000 basi» spiega il virologo Perno. Questo vuol dire che, a differenza dei più complessi virus difficili da combattere come l’Hiv e Hcv che contengono al loro interno infinite variazioni, Covid-19 è poco variabile e quindi più controllabile attraverso un vaccino ben studiato.

«A differenza del virus SARS o MERS, nella sua capacità infettiva il Coronavirus è destinato a restare ancora a lungo» spiega Perno. «In decenni di carriera è il virus più aggressivo che abbia mai visto. Nonostante una capacità infettante molto alta, il virus non è variato rispetto all’inizio, dunque non è diventato più aggressivo, ma certo neanche più buono», conclude.

«L’elemento della scarsa variabilità del virus da un lato incoraggia e dall’altro deve stimolare alla continua ricerca di una soluzione antivirale efficace», commenta il coordinatore della Commissione Ricerca Scientifica della Fondazione Cariplo e Direttore scientifico di Humanitas Alberto Mantovani.

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